Il momento difficile del difensore serbo. Milenkovic il gigante. Da recuperare subito
Nicola Milenkovic è un giocatore della Fiorentina che deve affrontare una sfida per dimostrare la sua qualità di difensore di livello. Una sfida che segna la differenza fra i calciatori senza carattere e quelli con un'anima di acciaio.
Che cos’è stato quel colpo di braccio sul terminare di una partita che meritava di finire diversamente? Un segno del destino avverso? Un accanirsi della sfortuna? O solo il sigillo di un periodo nero? Nicola Milenkovic da Belgrado è oggi un giocatore sul banco degli imputati. Gran parte di Firenze imputa infatti alla sua disattenzione, a quel suo braccio colpevolmente largo come una vela, la causa di una sconfitta dolorosa come poche. Qualcosa che lo farà stare male come e forse più di un normale calciatore. Perché Milenkovic nell’economia della rosa viola non è uno qualunque, anzi. A Firenze sbarcò appena diciannovenne nell’estate del 2017, dopo avere vinto il campionato serbo con il Partizan. Siccome il calcio vive anche di suggestioni, in tanti gli cucirono addosso l’immagine del "nuovo Vidic", ovvero di un colosso calcistico che, secondo l’epica corviniana, nel passato era stato a un passo dal vestire il viola. Tant’è.
Non gli ci volle comunque molto a Milenkovic a conquistarsi un posto da titolare in un ruolo per lui atipico, ovvero quello di terzino destro. Fu Pioli, l’anno successivo, a consegnarli la maglia di centrale difensivo, facendolo diventare di fatto un inamovibile. Da allora, lì in mezzo all’arcipelago tempestoso dell’area di rigore, lui è il punto di riferimento. Il difensore alto come il faro della Meloria che orienta la rotta ai naviganti del centrocampo. Un difensore martello, duro come i cavallucci di Siena lasciati sulla credenza, che picchia, tampona, ricuce. Per le sue prestazioni nella Fiorentina e nella Nazionale serba, furono molte le squadre a metterlo nel mirino, dalla Juve all’Inter, dal Napoli all’Arsenal. Finché fu lui a bloccare tutto e tutti. E invece che andarsene a parametro zero, come avrebbero fatto in molti, firmò l’allungamento di contratto.
Un gesto atipico nel pallone senz’anima di oggi. Ma il calcio non è solo cuore perché non può essere solo cuore. Così da qualche tempo Milenkovic è entrato in un cuneo fiscale di disaffezione per alcune partite sbagliate. Forse il nuovo ruolo da centrocampista aggiunto di Martinez Quarta, che spesso lo lascia da solo ad arginare le mareggiate nei contropiedi avversari; forse una condizione fisica che non lo aiuta. Fatto sta che già con l’Empoli la sua gara fu costellata da errori. E anche con la Lazio l’altra sera ha palesato indecisioni e fragilità. Così, poco importa capire cosa sia stato il colpo di mano finale che ha condannato alla sconfitta, se sbavatura casuale o segno del destino che si accanisce contro chi è in difficoltà. Qualunque cosa sia stata, adesso tocca a lui e solo a lui raddrizzare la fortuna.
Tocca a lui, sul campo, squarciare il velo che nasconde la felicità e riconvincere tutti della sua qualità di difensore di livello. Qualcosa che assomiglia a un nuovo esame di maturità. Perché fra il lasciarsi inghiottire dai gorghi del destino o lottare con forza per riemergere, è il discrimine che segna la differenza fra i calciatori senza carattere e quelli con un’anima di acciaio. Quella che lui ha già mostrato e non può essersi ora liquefatta come neve al sole. Nikola Milenkovic, più che una sfida un manifesto orgoglioso della violitudine.
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