Bergomi, 60 anni di Inter: "Ho avuto solo una maglia. E ne vado orgoglioso”

Venerdì lo ‘zio’ spegnerà le candeline: "Il Mundial ’82 fu una cosa irripetibile. Mi commuovo se penso a Scirea, Bearzot e Rossi. Ora gioco a Sky con Caressa"

di LEO TURRINI -
19 dicembre 2023
Giuseppe Bergomi

Giuseppe Bergomi

"All’Inter non è andata malissimo ma nemmeno benissimo. L’Atletico Madrid gioca meglio di una volta e il Cholo Simeone sta battendo tutti i record di vittorie casalinghe…"

Beppe Bergomi compie sessant’anni. Ha attraversato generazioni di calcio, prima con il pallone ai piedi e oggi con il microfono in mano. "Se vuoi un titolo originale potresti fare da Riccardo Ferri a Fabio Caressa – scherza lo Zio –. Con il primo ho speso una vita sul campo, in nerazzurro e in Nazionale. Con il secondo ho perso il conto delle telecronache fatte assieme".

Chi buttiamo dalla torre?

"Piuttosto mi butto io".

Campione del mondo a 18 anni, uno scudetto, tre Coppe UEFA: abbastanza?

"Se guardo al palmares di coetanei o quasi come Paolo Maldini e Franco Baresi sarei tentato di dire che ho vinto poco. Solo che…".

Solo che?

"In verità è stato tutto giusto. Forse in certi periodi avrei accumulato trofei indossando altre maglie, eppure non faccio cambio, sono felice di averne indossata soltanto una, azzurro a parte".

Quella dell’Inter.

"Cominciai dai giovanissimi. Mi allenava un emiliano della provincia modenese, Arcadio Venturi, un ex della Beneamata e della Roma. Gli debbo tantissimo".

Che maestro era?

"Esigente e onesto. Mi portò presto negli Allievi e alla fine degli allenamenti mi teneva lì, per insegnarmi a tu per tu le cose che mi sarebbero servite per far carriera".

Una carriera lampo, titolare nella finale di Bearzot a Spagna 82.

"Portavo i baffoni neri per sembrare più vecchio di quello che ero. Esperienza irripetibile e quando penso al ct, a Scirea e a Paolo Rossi mi viene un magone…".

Mandiamolo via, il magone: come fu alzare quella Coppa?

"Vai a vedere i miei occhi nelle foto d’epoca. Parlano da soli".

Dopo, in Azzurro zero tituli.

"Eh, nel 1990 eravamo la squadra che giocava meglio, con Baggio, Schillaci, eccetera. Nel 1982 non eravamo così brillanti. E nemmeno lo è stata l’Italia di Lippi nel 2006".

Però loro hanno vinto.

"Esatto. Invece noi delle Notti Magiche inseguendo un gol cademmo in semifinale contro Maradona ed è il vero rimpianto che ho".

A proposito di Lippi: è vero che nel 1999 fu lui a farti smettere?

"Non esattamente. Marcello venne ad allenare l’Inter, aveva pieni poteri e decise di cambiare. Me lo disse con correttezza. Io allora andai da Moratti. Il presidente mi propose di scegliere la squadra che volevo per proseguire la carriera. Io ero ancora integro, un anno prima avevo disputato il quarto mondiale con il ct Maldini e nel club ero compagno del mitico Ronaldo, uno che al primo allenamento mi fece un pallonetto sulla testa e segnò un gol prima ancora che potessi girarmi. Ma mi guardai allo specchio e compresi che non potevo indossare un’altra maglia".

E com’è che dopo all’Inter non sei più tornato? È passato un quarto di secolo…

"A volte se ne è parlato, mai però concretamente. Intanto era arrivata la tv, nella mia vita".

Caressa ha preso il posto di Moratti.

"Eh, Fabio è uno di famiglia. Ci vediamo solo sul lavoro, trasferte sempre assieme, c’è una fiducia reciproca inattaccabile".

Ma è vero che ci sono tifosi interisti che ti rimproverano di non essere abbastanza di parte?

"Sai, la tv ha il potere di dividere. Tu mi conosci, io sono interista dentro, se non sto facendo la telecronaca la partita della Beneamata manco riesco a guardarla, mi agito troppo. Ma sul lavoro, a Sky, debbo rispettare la sensibilità di tutti".

E questo a volte non viene capito.

"Perfetto, è proprio così".

Beppe, tu hai perso il papà quando eri un ragazzino.

"Se ne andò che avevo sedici anni, per un tumore. Non ha visto niente della mia storia calcistica. Ma mi è mancato il genitore, non il tifoso".

In che senso?

"Lui non amava il calcio. Preferiva la Formula Uno, era un ferrarista doc, forse perché aveva una officina. Una volta mi portò ad una partita importante, ero adolescente. Vincemmo 2-0, tornando a casa gli chiesi se gli ero piaciuto in campo…".

E lui?

"Confessò candidamente di essersi addormentato".

Beh, avrà compensato la mamma.

"Ah, sì, ce l’ho ancora, ha fatto 93 anni a novembre e mi rimprovera ogni giorno. Lei però soffriva troppo a seguire le partite, così andava al cimitero a trovare papà e il risultato lo imparava alla sera".

Beppe, cosa ti auguri per i prossimi sessant’anni?

"La serenità con mia moglie e per i miei figli, come uomo".

E come interista?

"Intanto vediamo di battere l’Atletico Madrid…".

Continua a leggere tutte le notizie di sport su