Centosedici anni di gloria. Internazionale per vocazione, straniero il primo capitano. I trionfi di Herrera e Mou, coi tedeschi l’anno dei record

L'Inter, con 20 scudetti in 116 anni, ha segnato la storia del calcio italiano con una squadra internazionale. Dai fondatori ai trionfi, un percorso di campioni e presidenti che ha reso l'Inter un'icona del calcio italiano.

di MATTIA TODISCO -
23 aprile 2024
Internazionale per vocazione, straniero il primo capitano. I trionfi di Herrera e Mou, coi tedeschi l’anno dei record

Internazionale per vocazione, straniero il primo capitano. I trionfi di Herrera e Mou, coi tedeschi l’anno dei record

Venti scudetti in centosedici anni di storia. Il primo nel 1910, l’ultimo nel 2024. Dal 9 marzo 1908 in poi l’Inter ha rappresentato il calcio italiano seguendo la linea dei padri fondatori. "Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo", affermano i padri fondatori e fin dall’inizio le contaminazioni straniere si mescolano con l’italianità. Il primo capitano è Hernst Marktl ed è uno svizzero. È ungherese Arpad Weisz, ebreo, che nell’Inter gioca per poche partite e poi guida dalla panchina la già rinominata Ambrosiana verso il terzo scudetto, nel 1930. Sono gli anni di Giuseppe Meazza, un simbolo che rimarrà scolpito nelle pietre di San Siro: gli verrà intitolato dopo la morte.

Dopo la guerra, vengono fuori alcune delle grandi figure della storia interista. I presidenti come Carlo Rinaldo Masseroni e soprattutto Angelo Moratti. Gli allenatori, Alfredo Foni e Helenio Herrera. E i campioni: Nyers, Lorenzi, Skoglund, protagonisti dei due scudetti consecutivi negli anni Cinquanta, fino alla filastrocca attorno alla quale viene costruito il ciclo della Grande Inter. Un capolavoro di gestione che ha diversi padri: i già citati Moratti e Herrera, Italo Allodi dietro la scrivania, campioni come Armando Picchi, Giacinto Facchetti, Sandro Mazzola, Mario Corso, Luis Suarez.

Alcuni di questi restano a lungo anche negli anni successivi ai tre Scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali che la squadra conquista dal 1963 al 1966, anno in cui arriva la prima stella, ma quando Moratti nel ’68 lascia le redini del club a Fraizzoli le cose si fanno più complicate. L’Inter vince l’undicesimo scudetto cambiando allenatore in corsa, da Heriberto Herrera a Gianni Invernizzi, perdendo l’anno dopo una finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax di Cruijff. Sembra l’avvio di un nuovo ciclo, guidato da Bordon, Oriali, Boninsegna. Al contrario, è l’ultimo sussulto prima di annate molto complicate, in cui a gioire sono quasi sempre gli altri e molti acquisti non danno quel che dirigenti e pubblico si aspetta.

Per appuntarsi nuovamente al petto il tricolore, l’Internazionale deve tornare a un forte zoccolo duro italiano, anche perché le frontiere sono chiuse. Eugenio Bersellini riesce a dirigere al meglio un gruppo in cui spiccano la fantasia di Beccalossi e i gol di Altobelli. Di nuovo: sembra la rinascita, è una piccola parentesi. Arriva Ernesto Pellegrini, in panchina c’è Trapattoni, ma nel frattempo passano nove anni prima che l’Inter dei record spezzi un nuovo digiuno. Una squadra fortissima, eppure resta l’unico scudetto della squadra a trazione tedesca, che aggiungerà una Coppa Uefa e una Supercoppa Italiana. L’attesa sarà ancora più interminabile, diciassette anni prima dello scudetto a tavolino di Calciopoli e di cinque campionati consecutivi portati a casa sotto l’egida di Massimo Moratti, tra Mancini e Mourinho, tra Zanetti e Cambiasso, tra Ibra e Eto’o. Il Triplete è un canto del cigno di un gruppo che è una Babele, una vera Internazionale, dopo la quale la transizione risulta complicata. Undici anni più tardi, il diciannovesimo trionfo sarà targato Marotta e Conte, due ex juventini che hanno fame di rivincita. E che danno il là a un nuovo ciclo vincente.

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