Conceiçao, un’impresa del Diavolo. Theo-Pulisic-Abraham: gioia Milan. Inter ribaltata, derby di rimpianti
Una finale dalle mille emozioni premia i rossoneri che trionfano in rimonta dopo essere stati sotto 0-2. Primo trofeo dell’era Cardinale e nuovo tecnico in lacrime: ha subito osato e risvegliato un’anima da big .
Hombre vertical. A dir poco. Una settimana, tra Linate e Riad. Due partite, un titolo: il cinquantesimo nella storia del Milan, il primo dell’era Cardinale. Sulla Supercoppa, ci sono la faccia, la mano, le lacrime, il sigaro e il balletto (come al Porto) di Sergio Conceiçao. Sergente di ferro, per come ha ribaltato prima la Juventus, poi l’Inter. Un’Inter che si lecca le ferite: controllo, ma solo apparente. Prima dei trilli del Diavolo. Inzaghi si vede scivolare via dalle dita il settimo titolo in tre anni e mezzo: avrebbe raggiunto Helenio Herrera e Roberto Mancini, gli allenatori più vincenti della storia nerazzurra. Tutt’altro. C’è il suo ex compagno a ruggire, a mettersi sulla scrivania il dodicesimo trionfo in sette anni e mezzo.
La Supercoppa l’aveva già alzata da giocatore, al debutto in maglia Lazio, segnando nel recupero contro la Juventus. Corsi e ricorsi: se non è destino questo... "Ma il biglietto della lotteria bisogna andare a giocarlo", aveva detto Conceiçao nei giorno scorsi, quelli della febbre. Febbre da derby, evidentemente. Derby vinto come il collega Fonseca. E come solo l’Inter sa perdere: negli ultimi minuti. Era successo sulla zuccata di Gabbia, sul morso di Mukiele a Leverkusen. È successo sul lampo Pulisic-Leao-Abraham che ha messo i titoli di coda sulla notte araba. Il Milan ha rubato gli occhi di tutti, alla fine. Carattere, pedalate, fiammate e ancora carattere. Quello che, con Fonseca, sembrava annacquato.
Ora, con l’uomo da Coimbra, scorre sangue rovente nelle vene del Diavolo. Che ruba l’occhio anche all’inizio, con quel 5-4-1 in fase di non possesso che fa ingolfare le rotazioni e la costruzione tipica dei cugini. Cinque giocatori alti, a francobollare la prima uscita. Altri cinque in linea, compatti, pronti a scattare e ad azzannare. Funziona. Anche se l’Inter piano piano ritrova le antiche certezze, nonostante l’uscita di scena di Calhanoglu per un problema muscolare: affaticamento all’adduttore destro. Thuram, invece, resta forzatamente in panchina fino alla fine. Ma le certezze, comunque, tornano quando Lautaro si scrolla di dosso la maledizione degli ultimi tempi. Ringraziando la dormita di Emerson Royal, la prontezza della vecchia volpe Mkhitaryan, l’aiuto di Taremi. Ma soprattutto se stesso, nonostante due maglie rossonere di fronte. Vantaggio e bis in tre minuti, tra un tempo e l’altro. Aria illusoria, quella che respira a pieni polmoni Taremi quando vola sulla palla in pronfondità di De Vrij, l’accarezza e fa 2-0. Poco prima, come con la Juve, Moncada e Ibrahimovic erano scesi negli spogliatoi.
Poco dopo entra l’uomo della svolta: Leao. La prima fiammata è un messaggio ai naviganti. Il portoghese si prende la punizione che Theo infila alle spalle di Sommer. La “Theao“, panchinata da Fonseca, è tornata. Il Milan è tornato. E carica. Pulisic, Reijnders, Morata: rumba. C’è anche quel pizzico di fortuna che premia gli audaci, sul palo di Carlos Augusto. C’è soprattutto Capitan America: ri-dirottato a destra, si va a prendere da par suo il pari, chiudendo una combinazione tra Leao e Theo Hernandez. La spia della riserva dovrebbe accendersi, qui. Ma questo è un altro Milan: Pulisic-Leao-Abraham. Da svolta. Da titolo. Da rinnovati scenari rossoneri.
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