Spezia da playoff con D’Angelo. I meriti del mister per la salvezza. Poche parole e tanta concretezza. E se l’avessero chiamato prima?

Ha saputo ricompattare il gruppo tre vecchi e nuovi, risultando determinante per il mercato di gennaio

di MIRCO GIORGI -
13 maggio 2024
I meriti del mister per la salvezza. Poche parole e tanta concretezza. E se l’avessero chiamato prima?

I meriti del mister per la salvezza. Poche parole e tanta concretezza. E se l’avessero chiamato prima?

Come si fa a minimizzare gli allenatori con il solito refrain che "in campo ci vanno i giocatori"? Vero, per carità, solo che questi sono uomini in carne ed ossa, con pregi, difetti e personalità molto eterogenee. Evidentemente chi dice questo non ha mai frequentato uno spogliatoio e non ha la minima idea delle dinamiche (anche personali) nascoste, ma determinanti nelle fortune di una squadra, in cui l’allenatore ha un ruolo paragonabile al comandante di una nave. Caso esemplare è lo Spezia di quest’anno. Che Alvini fosse una scelta inopportuna, più che le sue effettive capacità, lo diceva la sua storia recente: un retrocesso non può andare ad allenare dei retrocessi, oltretutto un gruppo squassato, con molti scontenti che non vedevano l’ora di partire. Troppo anche per tecnici molto più scafati rispetto all’ex Cremonese, quasi tutti ex professionisti e dunque capaci di calarsi con naturalezza nella fossa dei leoni. L’esonero si è rivelato tardivo: la deriva era evidente sin da Catanzaro e a maggior ragione dopo un punto in cinque partite, altro che pugnalare alle spalle Bastoni. Quando D’Angelo arriva, la situazione è effettivamente disperata e la prova del nove sta proprio nel fatto di avere acciuffato la salvezza all’ultima giornata: se si fosse tardato anche di poco non ci sarebbe stato più spazio. Da buon abruzzese, poche parole e tanta concretezza, più spezzino di tanti nostri concittadini. Già dalla seconda partita conquista due vittorie consecutive decisive per la salvezza, visto il destino di Bari (ai play-out) e Ascoli (retrocesso).

Sembra iniziare la rinascita, ma con il mercato invernale alle porte il gruppo si sgretola di nuovo, in una parabola culminata nella vergognosa prestazione di Como. A questo punto, a mercato aperto, l’Omone ha dato l’ultimatum: rinforzi subito, in primis giocatori di sua fiducia, altrimenti dimissioni. Senza i vari Nagy, Falcinelli, Mateju, Di Serio, Jagiello per un certo periodo, con il pieno recupero di Hristov e l’arrivo dello spezzino Vignali, la cui importanza si è vista anche nel finale di venerdì, non sarebbe stato possibile salvarsi, ma nemmeno senza un allenatore di personalità, capace di ricompattare il gruppo tra vecchi e nuovi, di accantonare tutti i disastri dell’era Macia e di non aver paura di fare esclusioni eccellenti (vedi Verde e Kouda rimasti in panchina all’ultima).

Le cifre parlano chiaro: da Pisa in poi, prima partita con una squadra parzialmente rinnovata, lo Spezia sarebbe nei play-off, settimo a 27 punti, a pari merito col Catanzaro sesto per differenza reti migliore, lo sarebbe stato anche con le due sconfitte di inizio girone di ritorno, da ottavo, a pari punti col Sudtirol, anche qui per differenza reti. Ma dall’inizio della gestione D’Angelo, con la sconfitta di Marassi per colpa del sùbito accantonato Dragowski, lo Spezia sarebbe sorprendentemente nono con 34 punti, a soli due dalla Ternana, che nonostante un piazzamento play-off nelle ultime venticinque giornate dovrà giocarsi la salvezza ai play-out. Cosa sarebbe potuto accadere se l’Omone fosse arrivato prima, o addirittura a inizio stagione? E se ci fosse stato un bomber come si deve?

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