Tour de France, le pagelle della seconda settimana: Pogacar divino, Italia dietro la lavagna
Lo sloveno è troppo per un coraggioso Vingegaard. Ciccone si difende, ma cento tappe senza vittoria sono un triste record per il nostro ciclismo
Plateau de Beille, 14 luglio 2024 – Un Tadej Pogacar dominante. Il campione sloveno è il re dei Pirenei dopo l’ennesima grande prova a Plateau de Beille: nulla da fare per Jonas Vingegaard e Remco Evenepoel.
Le pagelle
11 a TADEJ POGACAR. Si mette il Tour in tasca in due settimane, senza fare calcoli, secondo costume della casa. Corre come non ci fosse un domani, sprizzando salute a ogni colpo di pedale, sbriciolando rivali e record. Onorando il Tour onora anche se stesso, perché un campione è bravo a divertire il pubblico quando è il primo a divertirsi.
9 a JONAS VINGEGAARD. Sul Massiccio Centrale butta all’aria un calvario di tre mesi e torna se stesso, recuperando mezzo minuto a Pogacar e battendolo in volata. Ma l’illusione dura poco: sui Pirenei incassa un pesante uno-due. Non cambia il senso del suo Tour: essersi ripresentato per giocarsi la corsa è il suo vero trionfo.
8 a REMCO EVENEPOEL. Va al passo dei due prodigi che lo precedono in classifica, un pelo indietro ma non troppo. Perde qualcosa, ma non la fiducia di poter approfittare di una giornata buona sua o cattiva dei rivali. A 24 anni, al primo Tour, si è presentato per studiare, ma sembra che stia imparando in fretta.
8 a BINIAM GIRMAY. Tre vittorie di tappa, molti piazzamenti, una maglia verde che profuma di storia come tutte le prime volte che si è già regalato in carriera. Se è vero che la volata di Torino gli ha svoltato il Tour, le altre due sono la conferma di un corridore forte con le gambe, ma altrettanto solido con la testa.
7 a GIULIO CICCONE. Zitto zitto, restando nell’ombra, entra in top ten, vuoi per i guai degli altri, vuoi anche per merito suo. C’era una volta il Cicco che per buttare la corsa all’aria buttava via se stesso: adesso c’è un corridore che prova a far classifica e ci sta riuscendo, cercando di non sprecare le forze più di quanto non serva.
7 a JASPER PHILIPSEN. Dopo una settimana di pasticci, trova finalmente la strada che immaginava: due volate giuste, una con la complicità di un enorme Van Der Poel, l’altra in perfetta autonomia, lo ricollocano ai vertici della velocità. Non sarà al momento il miglior velocista del Tour, ma ha l’aria di andarci molto vicino.
7 a JONAS ABRAHAMSEN. Porta a spasso per dieci giorni la maglia a pois, la più amata dal pubblico francese, facendo di tutto: primo ad andare in fuga per raccogliere punti sui gpm, primo a mettersi all’opera per gli sprint di Kristoff. Non è difficile farsi notare quando si va in giro vestiti come la Pimpa, ma lui si nota perché è dappertutto.
5 al CICLISMO ITALIANO. Cinque sono i nostri reduci della nostra misera spedizione dopo i ritiri di Gazzoli alla prima tappa e di Bettiol alla quattordicesima. Cinque sono anche gli anni senza vittorie: da oggi il digiuno è salito a cento tappe (di Nibali, nel 2019, l’ultimo centro), ma c’è il fondato rischio che il conto si aggiorni in fretta.
4 a JAI HINDLEY. Parte col ruolo di luogotenente di Roglic, ma dopo il ritiro dello sloveno (per caduta) e dell’altra spalla Vlasov (per caduta pure lui) gli si apre la possibilità di provare a far classifica. Come non detto: al primo assaggio di Pirenei gli si spegne la luce. Prova a rifarsi subito, ma la sua fuga evapora in un attimo quando si muovono i big.
0 al COVID. E’ l’ospite inatteso di questo Tour, forse per questo un po’ trascurato. Spedisce a casa nomi illustri (Pidcock, Bilbao, il bimbo Ayuso, almeno così si è detto), ma circola minaccioso in gruppo, dove non tutti i team fanno prevenzione: chi fa i tamponi, ferma i propri atleti positivi, chi li evita mette in pericolo se stesso e gli altri.
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