Il Tour nel nome di Bartali. L’Italia si tinge di giallo. La memoria del campione che evitò la guerra civile
La prima tappa da Firenze a Rimini e il passaggio da Ponte a Ema, dove nacque Ginettaccio. Con la vittoria nel 1948 scongiurò il conflitto nel nostro Paese dopo l’attentato a Togliatti
Firenze, 30 giugno 2024 – Mentre la campagna, come cantava Paolo Conte, ieri “abbaiava” nel caldo polveroso, qualcuno giura di averlo visto, tra una curva e l’altra, in una mistica epifania. Forse era davvero lì il grande Gino Bartali, a mezzogiorno, nella sua Ponte a Ema, “con i suoi occhi allegri da italiano in gita”, a guardare il Tour de France che partiva incredibilmente vicino a casa sua. E chi l’avrebbe mai detto? Sì, proprio la Grande Boucle, quella che il campione vinse per ben due volte, nel 1938 e nel 1948, che partendo da Firenze ha reso omaggio anche a lui, sfiorando il paese dove venne al mondo, il 18 luglio 1914. Ginettaccio che tra tanti trionfi sportivi scrisse la storia con la “S” maiuscola nel luglio del 1948, non solo andando a vincere a Parigi con la maglia gialla il suo secondo Tour, ma contribuendo a stemperare il clima politico italiano di quell’estate animato da forti agitazioni.
L’allora segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti, infatti, il 14 luglio fuori dalla Camera venne raggiunto da alcuni colpi di pistola sparati da Antonio Pallante. La tensione in Italia andò alle stelle. Operai e militanti comunisti invasero strade e piazze in scontri sanguinosi e inneggiarono alla rivolta contro il governo. La situazione poteva degenerare da un momento all’altro. Poi, per fortuna, la distensione. Prima Togliatti rilasciò una dichiarazione dall’ospedale in cui rassicurò tutti sul suo stato di salute, a seguire, proprio in quei giorni, Gino in tre sole tappe riuscì a recuperare gli oltre venti minuti di distacco dal fuoriclasse Louis Bobet e si aggiudicò la trentacinquesima edizione della Grande Boucle. Una vittoria che fece dimenticare definitivamente la rivolta.
Ma non era stata la prima volta che quell’uomo dal “naso triste come una salita” aveva fatto la storia. Era accaduto pochi anni prima, durante la guerra. L’autunno del 1943 fu terribile, gli ebrei venivano deportati nei campi di concentramento. Bartali iniziò a trasportare nel manubrio e sotto la sella della sua bici documenti falsi da Assisi, dove c’era una stamperia clandestina, al vescovo di Firenze che poi li distribuiva agli ebrei per farli espatriare. Percorreva 185 chilometri avanti e indietro in un solo giorno: se fosse stato scoperto sarebbe andato incontro alla fucilazione. A fine anno venne bloccato dalla polizia fascista, a Firenze c’era il temutissimo comandante Mario Carità. Fu fermato, ma nessuno ispezionò la bici: questa ’dimenticanza’ gli fece scampare l’arresto e grazie alle sue gesta riuscì a mettere in salvo oltre 800 persone tra il ’43 e il giugno ’44.
Sono trascorsi 80 anni da quei tragici mesi. La tensione internazionale per fortuna non è quella di allora, anche se tra Macron e Meloni non sono mancati gli screzi, “perché i francesi ci rispettano, ma le palle ancora gli girano…” come cantava sempre il grande Conte. Chissà se sarà ancora lo sport, col Tour partito proprio da casa di Gino, a darci un nuovo segno di pace e fratellanza tra i popoli, e perché no, una grande lezione di vita. Gino che ieri giurano di averlo visto dietro una curva sorridere, “…nel giorno che tramontava in arancione e si gonfiava di ricordi che non sai”. “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”.
Continua a leggere tutte le notizie di sport su