Sicurezza per chi va in bici, Cavorso: “A un anno dalla morte di Rebellin non è cambiato nulla”

Le considerazioni del fondatore dell’associazione “Io rispetto il ciclista”

di ANTONIO MANNORI
30 novembre 2023
Marco Cavorso che si batte per la sicurezza di chi va in bici

Marco Cavorso che si batte per la sicurezza di chi va in bici

Firenze, 30 novembre 2023 – A un anno dalla tragica morte di Davide Rebellin, Marco Cavorso, 60 anni, che conduce la battaglia per la sicurezza da quando suo figlio Tommaso fu ucciso in bici da un automobilista che stava sorpassando contromano su una striscia continua. Tommaso si stava allenando, aveva 13 anni, oggi ne avrebbe 26.

"Rispetto a un anno fa purtroppo non è cambiato niente. L’uccisione di Rebellin ha fatto parlare, ma in pratica nessun passo avanti. A volte mi sento sopportato. È un problema di cultura, di educazione, ormai siamo alla seconda generazione, anche i genitori ormai sono maleducati". Lo scoramento di Cavorso nasce dal fatto che ormai si semplifica tutto, anche le battaglie per i diritti civili, e qualsiasi argomento entra a far parte della polarizzazione politica. Siamo un paese di tifosi, anche quando in gioco c’è la vita dei nostri figli.

"L’altro giorno – dice Cavorso - eravamo collegati con la Commissione Trasporti. Per l’Accpi, l’Associazione dei corridori professionisti, ha parlato Christian Salvato e per Io rispetto il ciclista (l’associazione fondata da Cavorso, ndr) ha parlato Paola Gianotti. Per prima cosa abbiamo chiesto ai politici di non voler trattare il tema della sicurezza stradale con la logica della divisione politica, di non insistere sul voler dare un colore politico al partito dell’auto piuttosto che al partito della bicicletta o del pedone, perché queste distinzioni non esistono nella realtà. Tutti i pedoni e ciclisti prima o poi sono anche automobilisti e viceversa. Ma il problema più grosso oggi è questo: ci si divide su tutto, anche sulla vita dei nostri figli, e sulla violenza contro le donne".

In questo momento c’è il disegno di legge del Governo sul nuovo codice della strada (il ministro Salvini prevede che sarà approvato entro la fine dell’anno) che per la prima volta introduce il metro e mezzo, cioè la distanza che bisogna tenere sorpassando i ciclisti per la loro sicurezza. “Però – continua Cavorso - è un metro e mezzo edulcorato, da rispettare ove le condizioni della strada lo consentano: questa specifica per molti è la scappatoia che disinnescherà la norma del metro e mezzo, mentre i più ottimisti sottolineano che si tratta comunque di un primo passo. Ci sono altri due disegni di legge in materia. Uno lo ha presentato Mauro Berruto (PD) tenendo conto di tre tematiche fondamentali in tema di sicurezza: oltre al metro e mezzo, il contrasto all’uso dello smartphone e la riduzione della velocità, che è ancora la prima causa di morte sulla strada. Un altro, analogo, è stato firmato da parlamentari di Forza Italia perché Mariastella Gelmini, appassionata ciclista, aveva spinto per il metro e mezzo. Ma al momento non è cambiato nulla, solo gli italiani, che dopo il covid sono più stressati". Anche Marco Scarponi viene da una famiglia la cui normalità è stata spezzata da un investimento, quello in cui fu ucciso nel 2017 suo fratello Michele, campione di ciclismo come Rebellin. E anche lui da quel momento si è votato alla causa della sicurezza, e con la Fondazione intitolata a suo fratello fa opera di informazione ed educazione soprattutto nelle scuole. Una delle sue battaglie è quella per le Città 30: ridurre la velocità vuol dire abbassare il numero dei morti, e l’obiettivo è arrivare a zero. Ma anche la questione dei 30km/h è diventata politica. L’altro giorno Scarponi è stato ascoltato in Commissione Trasporti e ha presentato una relazione di proposte e critiche al DDL Salvini. Ma la strada è ancora lunga. "La visione della strada che risulta dalle nuove modifiche è già superata – conclude Marco Cavorso - e non spinge verso un nuovo approccio alla mobilità. La Città 30 è completamente ignorata. Purtroppo nella visione del governo emerge ancora una cultura legata al mondo dell'automobile, dove si crede che alzare la voce, aumentando le sanzioni, possa migliorare i comportamenti. Non trattare, o addirittura peggiorare la situazione degli utenti vulnerabili, vuol dire non avere visione e restare ancorati a una strada di guerra, di velocità, di nessuno".  

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