Tathiana Garbin: “Le mie lotte per la vita”
La capitana azzurra dalla malattia al trionfo: "Ogni giorno al massimo. Ora un libro per aiutare chi soffre"
Non ci sono punti, ma alla fine "la vita è sempre una partita" dove non si gioca, "si combatte" come fa un tennista colpo dopo colpo con la maglia azzurra. Tathiana Garbin è una gran persona. Basta parlarci un paio di volte per capire come abbia portato la nazionale fino alla vittoria della Billie Jean King Cup nell’anno più difficile della sua vita, quello della malattia.
Tathiana, nel 2023 le è stato diagnosticato un raro tumore addominale, lo pseudomixoma peritonei, e durante la premiazione – con la Coppa solo sfiorata –, lo ha raccontato al mondo. Poi un anno fra campo e ospedali. Si sente di averla vinta quella partita?
"La battaglia purtroppo non si vince, si combatte. Sarebbe ingiusto dirlo nei confronti di chi non ci è riuscito, ma quello che conta è mettercela tutta, quella è l’unica strada. Lo scorso anno è stato molto complicato: ero a New York quando ho capito che c’era qualcosa che non andava, poi la diagnosi. In questi mesi ho subito due operazioni, giocando anche la Billie Jean King Cup nel mezzo".
Perché non si è presa una pausa?
"Perché tengo alle mie ragazze, dovevo essere lì con loro per far sentire il mio supporto. Sono campionesse che si spendono sempre e danno tutto per giocare in Nazionale, mi sento molto fortunata ad averle. Quest’anno siamo arrivate alla finale con più consapevolezza e ce l’abbiamo fatta".
Quando sono simili un match di tennis e la vita?
"La vita, con le sue grandi difficoltà, ti insegna i valori più importanti da coltivare. La pazienza, ma soprattuto la speranza, pensando che dietro alle nuvole c’è sempre un sole che risplende. Bisogna sempre aspettarsi il meglio, col sorriso sulle labbra. Proprio come nel tennis, come fa Jasmine, come abbiamo visto fare a Sinner e Berrettini in doppio l’altra sera...durante la partita bisogna sorridere, perché è un gioco che va affrontato al meglio, lo sport deve diventare uno strumento per migliorarsi. Su questa scia scriverò il mio libro, qualcosa che spero possa aiutare le persone che ne hanno bisogno".
Ma non ci sono stati momenti in cui non vedeva la luce?
"L’importante è non considerarsi mai sconfitti, bisogna battersi fino alla fine. Avevo dalla mia parte una forte consapevolezza: se non ce l’avessi fatta, ci sarebbe comunque stata una vita straordinaria, vissuta al massimo. Me ne sarei andata col sorriso".
Dopo il trofeo ha ringraziato i medici, chi altro c’è?
"Le ragazze, mi sono state molto vicine. Sono anche venute in ospedale prima della seconda operazione: quanta umanità c’è dentro a queste campionesse. Fondamentale è stata mia moglie Ylenia, come la mia famiglia e tutte le persone che mi sono state vicine, dandomi molto più di quanto abbia mai dato io al tennis".
In lei qualcosa è cambiato?
"Ho imparato che non bisogna diventare cattivi nei confronti della vita, perché l’avversario ti viene sorteggiato come in un tabellone di tennis".
Dopo la vittoria ha detto: potrei anche chiudere qui. Vuole già cambiar mestiere?
"Con Malaga ho chiuso un cerchio. Volevo trasferire alle mie ragazze tutto ciò che il tennis mi ha dato. Abbiamo fatto la storia, ma al futuro ci penserò più avanti".
C’è ancora tanto da fare?
"Moltissimo. Bisogna sempre migliorare cercando sempre di crescere. C’è da lavorare ancora tanto nel settore giovanile e lo stiamo faendo con tutte le forze così che a questi risultati seguano eredità da raccogliere. Non c’è successo senza successori".
C’è divario ancora nel mondo dello sport fra donne e uomini?
"La prima rivoluzione è partita grazie a Billie Jean King, un cambiamento necessario e importantissimo. L’uguaglianza deve crescere nello sport come nella vita. Credo ci sia bisogno della figura femminile perché le donne abbiano sempre di più il ruolo che meritano".
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