Sinner, l’antidivo eroe della racchetta. Dalle critiche alla Coppa Davis: Jannik fa innamorare gli italiani
Il 22enne altoatesino ha riportato in patria l’insalatiera che mancava in bacheca dal 1976. Ha battuto anche Djokovic. Schivo e concreto, dice sempre: "Sotto pressione è chi salva vite"
L’innamoramento non è stato immediato. Ma poi la passione, rosso fuoco, si è scatenata facendosi irresistibile. Jannik Sinner è il ragazzo d’oro del nostro sport, il campione che ci mancava da una vita e abbiamo trovato alla porta accanto. Su un confine che possiamo amare senza riserve.
Il Belpaese adora all’unanimità e si coccola l’asso del tennis, anni 22, già nella storia per aver trascinato l’Italtennis riportando la Coppa Davis nella nostra bacheca. E gli chiede eternamente scusa, per quelle critiche piovutegli addosso appena pochi mesi fa – eravamo a settembre – quando il nostro aveva declinato l’invito a dispensare la sua arte in campo nel girone eliminatorio di Bologna. Si accusò il sudtirolese di scarso attaccamento alla maglia della nazionale, dimenticando, non si sa come, che quello della racchetta è uno sport individuale. E che chi gira il mondo di continuo, con ben poche feste santificabili, dovrà pure avere il diritto di rifiatare.
Ci ha pensato lui a zittire gli stroncatori in servizio permanente effettivo. Il trionfo a Pechino sfatando il tabù Medvedev in finale, subito dopo aver battuto ancora Alcaraz, ha fatto da anticamera al novembre memorabile iniziato con il secondo posto alle Atp Finals di Torino, e culminato con la conquista dell’Insalatiera che non facevamo nostra dal 1976.
Le racchettate del ragazzo di Sesto scalfiscono e poi fanno cadere miti, oltre che steccati. Ne sa qualcosa l’eterno Novak Djokovic, sconfitto a Torino da Sinner nel girone, ma poi rifattosi con gli interessi in finale. ’Nole’ però ha ceduto ancora al baby-campione altoatesino proprio nell’ultimo atto di Davis, tanto in singolare quanto in doppio. È stata la definitiva epifania del ragazzo cresciuto nell’aria pura della Val Pusteria, e coi valori veri e precisi impartiti da papà Hanspeter e mamma Siglinde. Uno che paragona le difficoltà del proprio sport alla disciplina della cucina, avendo bene a mente l’orgogliosa fatica dei suoi genitori nel lavorare in rifugio.
Quando Jannik colpisce la palla riesce a imprimere una forza che è riservata solo ai fuoriclasse, un ossimoro costante vista la sua muscolatura contenuta. Anche il suono dell’impatto è diverso da tutti gli altri. Come è differente lui, rispetto alle stelle che sul campo mettono spesso un ego extra large, offrendo solo col contagocce spontaneità e simpatia. Jannik è agonista puro, ma con poche sovrastrutture. Fin da giovanissimo, ha investito su se stesso andando ad allenarsi a Bordighera, a 700 chilometri da casa. Quando gli si chiede delle pressioni che deve vincere, risponde candidamente che quelle vere le subiscono i medici che devono salvare vite, così come chi tiene famiglia e deve assicurare pranzo e cena per tutti, giorno dopo giorno.
La concretezza di Jannik è a tratti spiazzante per un popolo di tifosi assuefatto alla retorica, all’enfasi, all’iperbole. Ma proprio per questo la nascita del fenomeno Sinner è stata una doppia rivelazione. Col suo sorriso emozionato di Torino, lui ha dimostrato di essere entrato in totale sintonia con una platea di tifosi liberatasi di ogni pregiudizio. E l’Italia ha subito compreso di doversi ispirare a questo giovanissimo dal talento smisurato e dall’animo forte e gentile. Adriano Panatta si dice sollevato per il fatto che qualcuno, finalmente, lo ha eguagliato nei risultati, e sa che il Rosso potrà andare ancora oltre. Già in Australia, per l’Open, ci aspettiamo da Jannik cose dell’altro mondo.
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