Perché Sinner è diventato l’anti Djokovic: ecco le dieci risposte

L’azzurro numero 4 del mondo ha conquistato a Vienna il decimo titolo della carriera

di UBALDO SCANAGATTA -
30 ottobre 2023
Jannik Sinner con il trofeo conquistato a Vienna

Jannik Sinner con il trofeo conquistato a Vienna

Roma, 30 ottobre 2023 – Perché Sinner è diventato l’anti Djokovic? Perché è diventato molto più forte di quanto molti italiani pensavano diventasse. La risposta al titolo per certi versi è facile, ma non è una sola. Ubaldo Scanagatta dà le sue dieci risposte.

Sinner l’anti Djokovic, i 10 motivi

1) Perché lui ci credeva.

2) Perché è ambizioso ma non presuntuoso.

3) Perché crede fortemente nella cultura del lavoro e lo ha dimostrato lavorando quotidianamente e continuamente per migliorarsi sotto ogni aspetto.

4) Perché è straordinariamente determinato e lo era già a 13 anni quando decise di lasciare la Val Pusteria e la famiglia per trasferirsi a Bordighera. Una scelta decisa e difficile. Quanti bambini sarebbero capaci di farla e quanti genitori sarebbero capaci di accettarla?

5) Perché è un perfezionista che non si accontenta mai di quel che sa già fare, ma cerca continuamente di migliorare. Anche John McEnroe era un perfezionista che non si accontentava di avere un grande talento. Un talento naturale superiore a quello di Jannik.

6) Perché ha capito con grande lucidità e precocità che il tennis non è più uno sport individuale come si è creduto per anni – fino a che Ivan Lendl e Martina Navratilova capirono per primi che era necessario avere un vero team di supporto, tecnico, medico, atletico, nutrizionale, manageriale, finanziario – e che il raggiungimento di certi progressi non dipendeva soltanto da lui medesimo ma dall’expertise e dal progressivo miglioramento di tutto il suo team.

7) Perché ha capito che se un Federer o un Djokovic o un Murray avevano sentito il bisogno di cambiare più coach per ricevere nuovi stimoli e input, magari ingaggiandone più d’uno allo stesso tempo per "servirsi” al contempo di uno più umile ma più presente e di un altro più “supercoach” perché ex top-player, avrebbe fatto bene a seguire l’esempio di quei campioni ben più “vissuti” di lui. Così, abbandonato Riccardo Piatti che gli aveva insegnato a volare ma aveva forse preso a tarpargli un po’ le ali come a volte fanno a fin di bene i genitori che ti vogliono bene ma sono un po’ troppo apprensivi e angoscianti, ha preso prima un serio allenatore come Simone Vagnozzi e poi lo ha affiancato con un “supercoach” come l’ottimo Darren Cahill, sintesi ideale fra un ex ottimo giocatore (senza essere stato un campionissimo, n.22 ATP, 2 tornei vinti) e un allenatore dalle mille esperienze con campioni uomini e campionesse donne ma anche giocatori di medio livello: Agassi, Hewitt, Murray, Ivanovic, Verdasco, Hantuchova, Cirstea, Halep.

8) Perché ha capito, a differenza di Camila Giorgi per citare un collega, di quanto possa essere importante lo studio degli avversari prima di un match, gli accorgimenti tattici di uno sport che sul campo è “uno contro uno” come la “noble art”. Guai a pensare, più che a dire: “Io faccio il mio gioco”. E ha capito ragionando con coach di sicura esperienza che non solo prima di una sfida ma anche nel suo corso, è importante avere la flessibilità di un piano B e all’occorenza di un piano C, che può consistere nel ritorno al piano A, oppure in una evoluzione del piano A più B.

9) Perché si è reso conto alle prime sconfitte ma anche semplicemente osservando i competitors – lui li segue attentamente, diversamente da coloro che dicono: "Io gli altri non li guardo, non mi interessano, non li conosco e non li voglio conoscere” - di avere meno talento di un Alcaraz, più giovane di lui, ed è corso ai ripari. Esattamente come il giovane Djokovic fu costretto a correre ai ripari quando si rese certamente conto che il più esperto Roger Federer aveva più talento di lui. E così come Novak moltiplicò le proprie energie, la propria determinazione, la propria ossessione nel dedicare tutto stesso nei più minimi dettagli (dalla preparazione atletica, alla nutrizione, alla meditazione) per arrivare a battere più spesso il più talentuoso Federer, il più talentuoso Nadal, anche Sinner non ha lasciato nulla al caso.

10) Perché lavorando, lavorando e lavorando indefessamente, come Djokovic che non aveva il talento di Federer e Nadal, ma riconoscendo i propri limiti, Jannik ha migliorato incredibilmente il servizio, le volee, lo slice, le smorzate, le variazioni tecnico-tattiche che gli permettono di battere la “bestia nera” Medvedev giocando una volta il serve&volley e un’altra a specchio con il russo imponendo un ritmo e una intensità pazzesca da fondocampo. E ora chi discute più la sua condizione atletica dopo aver visto l’instancabile e irriducibile Medvedev crollare fisicamente nel terzo set a Vienna?

Conclusione

Così Sinner è diventato quel campione che oggi nessuno più si sente di discutere, di mettere in dubbio. Anzi, oggi tutti, anche i detrattori della prima ora, si aspettano ormai che Jannik diventi sempre più forte ed invincibile, pronto a battere anche Djokovic, l'unico "scalpo" che manca alla sua collezione. Ma intanto nessuno forse oggi può fregiarsi più di lui del titolo di “anti Djokovic”.

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