Alice Degradi: "Ho il diabete, ma vinco in campo"
La schiacciatrice è tra le protagoniste della nuova nazionale che ha conquistato le finali di Nations League: "E ora ce la giochiamo"
A 27 anni è diventata una bandiera, schiacciando palloni con il tricolore dell’Italia sulla maglia e un cerotto a coprire il dispositivo che le somministra l’insulina. Cosa che non le ha impedito di arrivare alle finali di Nations League.
Alice Degradi da Pavia, classe 1996, schiacciatrice che nel prossimo anno giocherà nel Vallefoglia, è uno dei volti relativamente nuovi della nazionale femminile di volley che il 13 luglio ad Arlington cercherà l’accesso alle semifinali. È cresciuta anche lei con un gruppo che Mazzanti ha rinnovato molto, e al quale darà fiducia anche nelle finali.
Fiducia è una parola chiave: Alice ha il diabete di tipo 1, vederla giocare a questi livelli è un esempio, non solo per chi ha la sua patologia.
Alice, la nuova Italia è cresciuta sempre. Come ha vissuto il gruppo questo processo?
"La cosa che ha contraddistinto il nostro percorso è il fatto che i presupposti e le basi con cui siamo partite non sono cambiate con le difficoltà che abbiamo incontrato nella prima tappa".
Quando è arrivata qualche sconfitta contro le big.
"Ovviamente non è stato bello perdere, ma questo non ha scalfito la fiducia reciproca e le sicurezze alla base di questo gruppo. È un gruppo che si è allenato poco prima di iniziare le partite e che è cresciuto giocando. La cosa bella di questa squadra è che può stupire ed è in grado di accendersi da un momento all’altro durante l’arco della partita, mettendo in campo una bellissima pallavolo".
Non avevate un compito facile, visto che quasi tutte le titolari sul podio agli ultimi due mondiali sono a riposo.
"Siamo molto unite sia tra di noi che con lo staff e questo ci ha permesso di non perdere fiducia nei momenti più difficili. Anche io penso di aver fatto una VNL in crescendo e, senza avere il tempo di allenarsi in corsa, penso che il nostro “ambiente” sia stato la chiave per crescere in così poco tempo".
Vi mancava l’esperienza delle compagne. Come avete affrontato la sfida?
"Anche se è un gruppo senza qualche “big”, tra di noi non è una cosa di cui abbiamo parlato, perché ci siamo identificate come squadra e abbiamo cercato di vivere questo percorso pensando al qui e ora".
Con quali ambizioni andate alle Finals?
"Ce le siamo guadagnate sul campo: era il nostro primo obiettivo, ma l’appetito vien mangiando e andremo in Texas con la sfacciataggine per provare ad ottenere il massimo…sarà difficile perché ci sono squadre molto forti, ma noi andremo lì per giocarcela. E poi si vedrà!"
Alice, quando ha scoperto di avere il diabete?
"Avevo 13 anni. Non è stato facile perché è una cosa che cambia la vita. Ci ho messo un anno dalla diagnosi a riprendermi fisicamente e non è stato facile accettarlo. La mia prima paura è stata quella di non poter più giocare a pallavolo, ma la mia diabetologa mi ha sostenuto e supportato in questi anni".
E lei è diventata una fonte di ispirazione.
"Ogni volta che un ragazzo diabetico o un genitore mi scrive per dirmi che sono un esempio per il figlio mi emoziona pensare che i miei successi sono anche i loro: c’è molta disinformazione su questa malattia e,anche se a livello agonistico è difficile gestirlo, non significa che non si possa fare".
Lei come fa?
"Ogni tanto, quando mi chiedono se ho dei “trucchi” per avere la glicemia perfetta durante le partite mi fermo a pensare: la nostra malattia è una battaglia ogni giorno, ma se non la vivi sulla tua pelle non lo puoi capire. Noi siamo i primi a vivere normalmente agli occhi di chi ci guarda, ma non è così. In questi casi rispondo che sono come loro, che la mia glicemia non è perfetta ma adora le montagne russe, che non è facile, ma non devono mollare. Ci sono dei giorni che penso a come sarebbe stata la mia vita se fossi stata “sana” o se ci fosse una cura".
E che cosa si risponde?
"Mi sono accorta che quelli sono i giorni in cui “smetto di vivere” quindi cerco di non pensarci. Mi reputo una persona fortunata con una bellissima vita che non cambierei neanche per un pancreas nuovo. Ovvio che se ci fosse non lo schiferei! Ma vorrei aggiungere una cosa".
Quale?
"In questi anni ho scoperto che la cosa che infastidisce di più un diabetico è la scarsa conoscenza della differenza tra diabete tipo 1, il mio, e tipo 2. Sono malattie molto diverse. Io non mi sono ammalata perché mangiavo le caramelle, la mia è una malattia autoimmune. Di solito ci scherzo sopra perché penso che l’autoironia sia la miglior medicina e ti faccia vivere tutto con più leggerezza".
Bas Van de Goor, ex campione olandese, ha scoperto a fine carriera di essere diabetico e ha creato una fondazione per incentivare la pratica sportiva come cura. Lo conosce?
"Non di persona, ma ne ho sentito parlare. Solo negli ultimi anni mi sto sensibilizzando sull’argomento, prima chiudevo gli occhi e quando leggevo diabete mi giravo dall’altra parte. Sarebbe bello poterlo incontrare, ha fatto una cosa molto bella e importante per le persone che possono trarre un esempio dalle sue esperienze, me compresa. In passato ho fatto parte di un’associazione diabetica di Varese ma in questo momento non sono legata a nessuna iniziativa".
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