Marco Meoni: dalla pallavolo agli attacchi di panico, una vita di sfide e successi

Marco Meoni, ex pallavolista, racconta la sua lotta contro gli attacchi di panico e il suo impegno per aiutare altri atleti.

di DORIANO RABOTTI
7 aprile 2025
Marco Meoni oggi allena negli Stati Uniti alla Houston Volley Academy. A destra quando era in nazionale, contro l’Olanda

Marco Meoni oggi allena negli Stati Uniti alla Houston Volley Academy. A destra quando era in nazionale, contro l’Olanda

"Io sono orgoglioso di aver squarciato quel velo, di aver ammesso le mie debolezze. Perché da allora non ho mai smesso di aiutare chi ha avuto il mio stesso problema". Marco Meoni è un omone veneto di quasi due metri e quasi 52 anni che è diventato gigantesco quando ha ammesso in pubblico di essere piccolo. Giocava a pallavolo con i Fenomeni di Julio Velasco, nel 2010 raccontò dei suoi attacchi di panico in campo, uno tra i primi sportivi di livello mondiale a confessare di avere i piedi d’argilla. Da allora sono stati in tanti, da Federica Pellegrini a Simone Biles e Naomi Osaka per citare alcuni dei nomi più famosi a livello mondiale, a raccontarsi senza paura.

Meoni ha aperto una breccia, oggi che è tornato nello staff azzurro (sarà l’assistente del ct del volley maschile Fefè De Giorgi) l’occasione è buona per raccontarsi quanta strada è stata fatta, da quel primo passo. Meoni, si è mai pentito? "Mai, anzi: sono fiero di aver fatto quell’annuncio pubblico. So di avere aiutato tanta gente, e continuo a farlo perché quel passaggio è stata una lezione di vita soprattutto per me stesso".

Oggi si parla di depressione e problemi psicologici senza tabù, per fortuna. Quindici anni fa non era così. "Io nel frattempo ho continuato a farlo senza problemi e con piacere, anche con gli allenatori, se posso essere utile sono contento. Non è questione di livello dell’atleta, della pressione che magari arriva perché sei un campione conosciuto in tutto il mondo: le stesse difficoltà le possono provare atleti amatoriali o dei settori giovanili, oggi con i social poi è tutto amplificato. Ci sono i numeri a certificarlo: qui dove vivo io, negli Stati Uniti, l’aumento dei suicidi tra gli studenti-atleti è qualcosa di molto preoccupante. Una ragazza di un college si è tolta la vita il giorno dopo aver vinto il campionato".

Come è finito in America? "Per una serie di coincidenze che alla fine si sono rivelate pezzi di un puzzle che si doveva comporre esattamente in questo modo. Ormai siamo qui da sei anni. All’inizio era solo mio figlio che voleva vivere un’esperienza di scambio, alla fine ci siamo spostati con tutta la famiglia. Io ho cominciato ad allenare per avere il visto e ci siamo stabiliti a Houston".

Allena un college? "Adesso anche quello, ma a San Diego, ogni tanto prendo l’aereo e volo là. L’attività principale è guidare l’under 16 della HVA, la Houston Volleyball Academy, un club che fa solo attività giovanile con 40 squadre, di cui alleno i tecnici".

Da Padova a Houston, di strada ce n’è. "Da qualsiasi posto del mondo a Houston c’è molta strada, è un posto da quasi dieci milioni di abitanti. Ma noi ci troviamo bene, siamo vicini di casa dell’astronauta Luca Parmitano, mia moglie per un po’ ha fatto la babysitter per Samantha Cristoforetti. Una volta Samantha le ha telefonato dalla stazione spaziale..."

Insomma, sognate tra le stelle (e le strisce). "I miei figli stanno trovando la loro strada qui. Filippo ha 23 anni, ha sempre sognato di lavorare alla Nasa, sta per laurearsi in fisica e in scienze spaziali. Alessandra ne ha 22 e si sta laureando in ingegneria biomedica, Leonardo fa la seconda superiore".

E lei sta per tornare in nazionale con De Giorgi: che ruolo avrà? "Sarò il suo assistente, i compiti saranno definiti meglio quando potrò iniziare a lavorare, prima devo completare la stagione quei negli Usa. Quando me l’hanno chiesto ho risposto subito di sì, ma ovviamente voglio portare a termine l’impegno che mi ero preso".

E pensare che De Giorgi racconta che Velasco preferì Meoni a lui, per le Olimpiadi. Che Fefè non ha mai fatto da giocatore. "Tra noi però non c’è mai stata rivalità. Ero il suo vice nel club a Padova, avevo 17 anni, quando lui andò a Cuneo mi regalò un ciuccio per dirmi che ero pronto per diventare grande. In nazionale sono stato anche il vice di Tofoli, un altro mostro sacro, e poi titolare: ma questo non ha mai cambiato il nostro rapporto".

Meoni, torniamo al discorso iniziale: perché i social stanno rendendo più difficile affrontare le proprie ombre? "Perché ci sono profili che addirittura cercano gli haters per generare traffico, e non tutti sono pronti a sopportare. Io stesso non ho completato alcune idee di business sul web che avevo, perché sapevo che non avevo voglia di affrontare le offese".

Essere un idolo e un campione rende tutto più pesante? "Questo è un discorso che richiederebbe ore. Posso solo dire che i fattori scatenanti possono essere diversi, dalla paura dell’errore alla troppa responsabilità. Ma la sofferenza è la stessa".

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