Nicolai gira la clessidra, ma è sempre sabbia

Il campione azzurro, che ha vinto lo storico argento alle Olimpiadi di Rio, si ritira e diventa il dt degli azzurri: "Voglio scoprire nuovi giovani"

di DORIANO RABOTTI
9 dicembre 2024
Nicolai gira la clessidra, ma è sempre sabbia

Paolo Nicolai si ritira dal campo: a Rio 2016 vinse l’argento olimpico con Daniele Lupo, nel riquadro

Per chiudere l’anno e una carriera fantastica serviva un posto caldo come il cuore. Per trovarlo in dicembre, Paolo Nicolai ha scelto le finals di Doha dove ha appena disputato il suo ultimo torneo in campo, uscendo con Cottafava contro la coppia tedesca Ehlers e Wickler. Da gennaio il campione azzurro di beach volley, argento ai Giochi di Rio con Daniele Lupo, tre volte campione d’Europa, una campione del mondo juniores, diventerà allenatore e direttore tecnico delle nazionali maschili.

Nicolai, come sta vivendo questo momento?

"Ho pensato solo a godermela, avevamo un po’ staccato quando abbiamo visto che eravamo qualificati per le Finals, poi abbiamo ripreso 3-4 settimane prima, ma sapendo di non essere al massimo della forma. Volevamo solo goderci l’ultimo torneo insieme".

Era il momento di smettere? O l’ha convinta la proposta della Fipav?

"È una cosa che io stavo valutando perché a 36 anni immaginare di iniziare un nuovo percorso olimpico non mi sembrava realistico. Stavo pensando se continuare un anno oppure affacciarmi a un nuovo percorso che comunque avevo già in mente. Parlando con la Federazione è arrivata l’opportunità di farlo subito in Italia, a quel punto non c’era più bisogno di pensare tanto. Anche perché questo ruolo mi dà orgoglio ed energia".

E come si vede nel ruolo? Cambia la prospettiva.

"Era quello che volevo fare, quindi ho cercato di arrivare il più preparato possibile, ma già negli anni, quando l’idea di smettere era ancora molto lontana, questa è una cosa a cui ho dedicato tempo, cercando di capire e di restare aggiornato sulla professione dell’allenatore".

Anche lei è uno di quelli che si fanno quaderni di appunti?

"Inizialmente sì, poi mi sono un po’ evoluto, ovviamente sono i principi quelli che sono importanti, ogni allenatore li adatta, ma molti sono generali e bisogna conoscerli".

Lei avrebbe potuto essere un buonissimo giocatore indoor, dove si guadagna di più. Perché ha scelto la sabbia?

"Un po’ è stato un caso, un po’ la bravura di alcune persone all’interno della federazione. Per me il volley è un movimento unico, indoor e beach, ed è una delle cose per cui mi batterò. È un ecosistema con due specialità. Quando ho avuto l’opportunità di fare i mondiali giovanili l’ho colta, sono arrivati subito i risultati e da lì ho iniziato giovanissimo a scegliere la sabbia, avevo 19 anni e mi proposero di qualificarmi per le Olimpiadi. Mi hanno fatto sentire parte di qualcosa di importante, non è solo una questione economica".

Poi insieme a Daniele Lupo, con l’argento a Rio, lei ha cambiato la storia. Si aspettava tanti risultati?

"Quando ho iniziato l’obiettivo era qualificarsi per i Giochi almeno una volta, poter dire di averla giocata. Alla fine ne ho fatte quattro e con i risultati sono cresciute le aspettative. Mi sarei accontentato di molto meno".

L’orgoglio maggiore e il più grande rimpianto?

"La cosa di cui sono più orgoglioso sicuramente è tutto il percorso con Samuele Cottafava e con la squadra che ci ha accompagnato, mi rivedo molto in lui. Sicuramente anche la medaglia olimpica è un ricordo speciale. Il rimpianto è non aver vinto un mondiale, ci sono stati momenti in cui lo valevamo".

Finita la finale di Rio, con l’argento al collo, era più arrabbiato o felice?

"Sicuramente era maggiore la gioia, ma c’era anche un senso di liberazione perché la medaglia era diventata per noi quasi un’ossessione, pesava".

Beh mica era scontata...

"No, però è anche vero che venivamo da un quadriennio in cui abbiamo vinto tre europei in quattro anni, siamo andati sul podio in parecchi tornei e nonostante l’infortunio di Daniele e la mia operazione comunque siamo rimasti sempre all’altezza. Non vincere la medaglia non sarebbe stato un fallimento, ma noi conoscevamo il nostro valore e sapevamo di meritarla".

È vero che l’Olimpiade è diversa da ogni altra kermesse?

"Un atleta la vive così a livello di emozioni e di pressione, credo che sia inevitabile, se non sei un calciatore, avvertire una dimensione differente, perché non sei abituato a tutte queste attenzioni mediatiche. I tornei mondiali non hanno lo stesso risalto".

Come è stato essere un beacher in Italia? Mai rimpianto di non essere nato in Brasile?

"No, mai. Credo che io e Daniele Lupo abbiamo rappresentato uno spartiacque, a livello di riconoscimento pubblico ed economico non è andata male. Sono felice dove sono anche perché sono poche le federazioni che hanno fatto investimenti come la nostra, al mondo".

Giocare indoor può aiutare nel beach e viceversa?

"Siamo uno stesso sport con due discipline, se uno inizia a fare nuoto, non è che parte dai 1.500, inizia a fare nuoto. Per l’altissimo livello a un certo punto bisogna scegliere allenamenti specifici. Ma credo che le contaminazioni per un atleta siano un valore".

Non tutti sono Kiraly, che ha vinto l’oro indoor e sulla sabbia.

"Oggi anche Kiraly dovrebbe scegliere, adesso la specializzazione è necessaria perché l’ambiente è decisamente più competitivo con molte più squadre che possono vincere".

Che cosa pensa del sogno olimpico della coppia Lupo-Zaytsev? Ivan avrebbe bisogno di pensare solo alla sabbia dopo questa stagione?

"Se dovesse decidere di voler davvero concorrere con speranze di far bene a livello internazionale penso non ci sia nessun dubbio sul fatto che lui debba fare una scelta".

Ha il tempo per riuscirci?

"Non lo so, onestamente li ho visti giocare troppo poco, Ivan me lo ricordo quando giocavamo contro, abbiamo la stessa età. Sentirò anche lui, ma non lo disturberò certo durante la stagione indoor. Chiamerò tutti gli atleti che fanno attività internazionale. Fermo restando che in questo momento noi abbiamo deciso quali saranno le coppie che inizialmente rappresenteranno la nostra nazionale e sono Dal Corso-Cottafava e Viscovich-Rossi".

I suoi obiettivi?

"Abbattere la barriera culturale tra indoor e beach, arrivando ad intenderlo come un movimento unico, e poi sicuramente allargare la base e il numero delle coppie che partecipano a livello internazionale mettendo dentro giovani. Ci sarà un grosso investimento sul settore giovanile e sulla formazione dei tecnici. Fortunatamente a livello di impianti e strutture in Italia siamo messi molto bene".

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