Canna La Virtus diventa uno stile di vita

Achille, 91 anni, arriva a Bologna nel 1953: lui, Calebotta e Alesini diventano il Trio Galliera. Alle Olimpiadi di Roma è il capitano dell’Italia

di ALESSANDRO GALLO -
13 maggio 2024

Non avesse fatto il giocatore di basket, forse, avrebbe potuto essere un brillante pilota di Formula Uno. Nei racconti di Dan Peterson, spesso e volentieri, riaffiora il primo viaggio verso Bologna. Dan arriva dal Cile e, dopo una serie di scali, atterra a Milano. Da lì a Bologna, anno di grazia 1973, ci sono ancora più di duecento chilometri. Coperti in poco più di un’ora perché, in assenza dei limiti di velocità che sarebbero stati stabiliti più avanti, il pilota ha il piede pesante.

Il driver di quel primo viaggio risponde al nome di Achille Canna, nato a Gradisca di Isonzo (Gorizia) il 24 luglio 1932. Achille è uno splendido atleta di 190 centimetri: nella palla al cesto qual è il basket italiano negli anni Cinquanta, non esistono ancora ruoli ben definiti. Le regole sono diverse, ma Achille è uno veloce, velocissimo, che in contropiede è in grado di battere chiunque. E che si esalta sulla pavimentazione a scacchi della Sala Borsa, che manda in confusione le società rivali, ma lancia i bianconeri verso la conquista di altri due scudetti.

In Virtus, Canna, gioca ininterrottamente dal 1953 al 1962. Un totale di 188 partite e 1.873 punti. E una volta, in una partita secca, Achille, che è un’arma letale quando può correre, ne infila addirittura 45 nel canestro avversario. In mezzo a questo, c’è pure l’esperienza in azzurro: Canna è il capitano dell’Italia che gioca le Olimpiadi del 1960. E’ la nazionale che chiude l’avventura olimpica al quarto posto, sfiorando anche la prima medaglia.

Prima delle Olimpiadi, per dirla tutta, c’è anche una brutta frattura alla gamba. La Virtus perde Achille per un’intera stagione (e probabilmente lascia lì anche uno scudetto), per lui la carriera sembra volgere al tramonto. Ma la voglia e la determinazione di Achille sono così forti, che riesce a recuperare e a riprendersi il posto in squadra.

A Bologna l’Achille giocatore è una vera celebrità. Non solo perché vince due scudetti, quelli del 1955 e 1956, nel periodo della Sala Borsa, ma perché fa parte di quello che viene chiamato trio Galliera. Lui, Achille Canna, con gli amici più cari di sempre, Mario Alesini e Nino Calebotta.

Dopo l’esperienza con la Virtus – lavora come elettricista nei cantieri edili, si alza alle 7 e si allena di sera – arriva qualche stagione con il Gira. Cambia lavoro perché viene assunto dalla Minganti che, negli anni Cinquanta, diventa pure sponsor della V nera. Poi, dopo tanti sacrifici, si mette in proprio e, con il cognato Charlie Ugolini, si dà da fare per piazzare il maggior numero di flipper nei bar di Bologna.

Dalla B alla serie A: il tempo per ritrovare la Virtus, da avversario. Ma è un avversario virtuale, perché nelle sue vene scorre sangue bianconero. Così, quando Vittorio Tracuzzi lo chiama per chiedergli di fare da secondo in panchina, Achille non ci pensa un attimo. Poi, dalla panchina alla scrivania, il passo può essere breve. Dirigente, presidente dal 1979 al 1983, direttore sportivo, direttore tecnico, di nuovo direttore sportivo. Con Achille come dirigente arrivano, in aggiunta ai due tricolori conquistati da giocatore, altri otto scudetti, 5 Coppe Italia, una Supercoppa, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe. L’avventura bianconera si interrompe, bruscamente, il primo novembre 1998. E’ il celebre derby dei ‘Santi’, quello della paletta (dei falli) abbassata un paio di volte da Santi Puglisi, in quel momento direttore sportivo dell’Aquila.

Una stracittadina che la Virtus perde in volata, perché l’errore del tavolo impedisce alla squadra di Ettore Messina di andare in lunetta.

Derby che porta a squalifiche in casa Fortitudo. Così, a distanza di più di un quarto di secolo, il gesto di Achille Canna assume ancora maggiore rilevanza. "Non voglio fare polemiche – avrebbe detto poi in un’intervista successiva –. Rientrando in pullman, in palestra, rassegnai subito le dimissioni. Sono abituato ad assumermi le mie responsabilità".

Dimissioni accettate, anche se il rapporto di stima e rispetto, con l’allora presidente bianconero, Alfredo Cazzola, non è mai venuto meno. Resta ancora qualche stagione nel mondo dei canestri, dando una mano al Progresso Castel Maggiore che, a cavallo tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio del terzo millennio, diventa la terza squadra delle Due Torri.

Achille porta in dote le sue conoscenze, la sua esperienza, le sue grandi capacità. Da qualche anno si è ritirato con il suo carico di ricordi, che mette a disposizione del prossimo. A Bologna dal 1953, quasi per caso. Quella Bologna che gli sarebbe poi entrata nel sangue, facendolo diventare qualcosa di più di un bolognese d’adozione. Perché Achille, negli anni da giocatore, vive l’epopea del Pavaglione, i giornali acquistati all’alba, per capire cosa era successo sugli altri campi. Le cene da Lamma e un clima goliardico che, di fatto, rendono unica Bologna. Come è unico e irripetibile Canna Achille da Gradisca di Isonzo.

(48. continua)

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