Danilovic L’impero Virtus trova il suo Zar

Sasha sbarca in bianconero nel 1992: "Voglio giocare con Brunamonti". Arrivano subito tre scudetti di fila, poi nel 1995 vola nella Nba

di ALESSANDRO GALLO -
17 marzo 2024
Danilovic L’impero Virtus trova il suo  Zar

Danilovic L’impero Virtus trova il suo Zar

Il più grande di tutti i tempi? Un indizio concreto c’è. Fateci caso: in qualsiasi discussione che animi o i bar o la curva bianconera, alla voce il più grande di tutti i tempi la litania è sempre la stessa, Tom Mc Millen, Kresimir Cosic, Jim Mc Millian, Micheal Ray Richardson e Manu Ginobili. Ma il primo nome di questa preghiera, laica e bianconera, è sempre lo stesso: Predrag Danilovic, detto Sasha.

In realtà i soprannomi per lui si sprecano: non solo Sasha, ma anche Nikita, lo Zar e l’Ambasciatore (nomignoli affibbiatogli dal professor Grandi) e la Rondine con i Jeans (Lucio Dalla),

Nato a Sarajevo in Bosnia, ma di etnia serba, il 26 febbraio 1970, Danilovic è rimasto in Virtus in due differenti periodi: dal 1992 al 1995 e dal 1997 al 2000. In totale, solo in campionato, 197 presenze, 4.412 punti, quattro scudetti e un’Eurolega (1998). Anche una finale di Coppa Italia, un’altra finale di Eurolega e una di Saporta Cup.

Il più amato, nonostante il carattere tutt’altro che semplice, lo sguardo torvo, che si apre soprattutto con l’amico di sempre, Roberto Brunamonti. Il più amato, nonostante il primo approccio, al PalaDozza, sia tutt’altro che esaltante. O meglio, per Sasha è esaltante perché con il suo Partizan, nel 1992, sbanca Piazza Azzarita e vola in final four, dove vince la sua prima Eurolega. Ma all’uscita dal palasport, lui che se ne va a braccia levate, esultando, piovono fischi.

Fischi che qualche mese dopo diventano applausi, omaggi e cori ai limiti della venerazione. Perché quello che dice Sasha, quando ha la canotta numero 5 sulle spalle, è legge. Almeno per il mondo bianconero.

"Sono venuto qua – le prime parole – perché voglio giocare con Roberto Brunamonti". E il feeling con il Roby bianconero sarà uno dei must della permanenza di Danilovic all’ombra delle Due Torri.

"Bologna, la mia città", forse ancora più di Belgrado, dove oggi è di casa. Fa amicizia con Claudio Coldebella, gira in Harley Davidson e Bmw e con il chiodo. E’ alto, bello e spietato: in campo non fa prigionieri. Sul parquet, che sia quello della palestra Porelli o dei palazzetti, non fa distinzioni: bisogna dare il massimo, sempre.

Inflessibile nel giudizio su se stesso, Sasha, con la sua sola presenza, eleva la competitività dei compagni. Perché Danilovic odia perdere. Forse anche a ‘pari o dispari’.

Nel 1993, a Forlì, la prima, e forse unica delusione: perde la Coppa Italia in finale con la Benetton. Da lì svilupperà una sorta di idiosincrasia nei confronti del trofeo. Addio Coppa Italia, ma confeziona il triplete o, se preferite, il three-peat tre scudetti consecutivi con Brunamonti e Coldebella, Moretti e Morandotti, Carera e Binelli e stranieri che sono Bill Wennigton, Russel Schoene e Joe Binion.

Dal Madison di Piazza Azzarita al vero Madison – dove una sera infila 7 triple su altrettanti tentativi ai Knicks di New York –: due stagioni nella Nba, prima con Miami poi con Dallas. Ma la Nba gli va stretta. Più che un campionato, per uno come lui, i lustrini e le paillettes americane devono apparirgli come un grande circo.

Sasha non è un fenomeno da baraccone da vendere come spettacolo. Danilovic è uno spettacolo per come interpreta le partite, per la ferocia con cui scende in campo. Per la capacità, forse unica, di fare canestro, quando conta.

Torna sotto le Due Torri, nel 1997, nella stagione in cui il Bologna punta su Roby Baggio e la Fortitudo scomoda Dominique Wilkins. Perde ancora una Coppa Italia, questa volta la corsa si ferma in semifinale, contro l’Aquila, proprio al PalaMalaguti.

"Non me ne può fregar di meno – dice –. La stagione è lunga, vinceremo tanto". Spietato e profetico verrebbe da dire. La prima rivincita con la Fortitudo si consuma nel quarto di finale di Eurolega. La doppia sfida che passa alla storia come neuroderby: la Virtus la spunta. Vola a Barcellona e conquista, in un palazzo quasi tutto bianconero, la prima Coppa dei Campioni per la Virtus. Ma la missione di Sasha non è ancora finita. Anche se, parafrasando ‘Totò’, la città si riempie di immagini di Sasha con la didascalia "Io può".

Nella stagione dei dieci derby, anche la finale scudetto si decide con la stracittadina. Sfide infinite: la Fortitudo vince in casa Virtus, Sasha risponde l’indomani con 30 punti e si va sull’1-1. Ancora successo dell’Aquila in trasferta e pareggio bianconero in viaggio (anche se si gioca sempre a Casalecchio). Si arriva al 31 maggio: a 18 secondi dalla fine, la Fortitudo è avanti di quattro lunghezze. Poi, appunto, il tiro da quattro: dalla storia direttamente nella leggenda. Mai farlo arrabbiare, poi. A Roma sventolano lo striscione con lo scritta ‘Zingaro’ e lo fischiano? Sasha risponde con il sorriso. Sorride ai tifosi ogni volta che fa canestro. E quella volta, a Roma, segna 47 punti.

Si ritira giovane, a poco più di 30 anni, perché le caviglie, per uno che non si è mai risparmiato, ormai sono logore. Fa in tempo, a modo suo, a dare il benvenuto a Ginobili. "Manu – lo fulmina alla Porelli – guarda che qui non sei più a Reggio Calabria". Nel giorno del suo ritiro, il 30 novembre, al PalaMalaguti, viene premiato da il Resto del Carlino e da Gianni Cristofori.

La sua 5 è ritirata per sempre. Al suo fianco vuole l’amico-nemico di sempre, Carlton Myers. "I nostri litigi? Lo facevamo per lo spettacolo", se la ride ancora. Anche se l’amico di sempre, in bianconero, è Roby Brunamonti.

(43. continua)

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