Parola di Dan Peterson "Polonara e Dobric per una Virtus più forte"

"Sulla carta la partenza di un elemento del calibro di Teodosic è un danno. Ma in Eurolega la duttilità e l’energia in difesa faranno la differenza".

di ALESSANDRO GALLO
20 agosto 2023
Parola di Dan Peterson  "Polonara e Dobric  per una Virtus più forte"

Parola di Dan Peterson "Polonara e Dobric per una Virtus più forte"

di Alessandro Gallo

Ha lasciato Bologna nel 1978. Sono passati 45 anni, ma il legame di Dan Peterson con le Due Torri è ancora fortissimo. Lo rivedremo presto, in città, per presentare la sua ultima fatica: un libro di ricordi che riguardano la figura dell’Avvocato Porelli. Ma Peterson non è solo aneddoti, Dan è la pallacanestro giocata e raccontata. Cerchiamo di scoprire la Bologna (Virtus e Fortitudo) che verrà ascoltandolo.

Coach, cominciamo dalla Virtus?

"Ha cambiato molto rispetto allo scorso anno".

Più forte o più debole?

"Più adatta all’Eurolega. Non dimentichiamo, poi, che la Virtus è tornata in Eurolega solo lo scorso anno, dopo un lungo periodo di assenza. E’ andata talmente bene che, a un certo punto, aveva due partite di vantaggio su Milano".

Virtus più adatta all’Eurolega: perché?

"Perché è più duttile in difesa. Penso per esempio ad Achille Polonara, grande acquisto. E’ alto, è mancino, grande elevazione. Può marcare pivot, ali forti e ali piccole perché ha grande rapidità di piede. E’ un jolly, che assicura duttilità in difesa".

Lei batte molto sul tasto difesa.

"Certo. E perdere Teodosic vuol dire tanto per certi versi. Ma Milos non era proprio uno stopper. Questo significa che la Virtus ne guadagnerà nella sua metà campo. Non solo la grande agilità di Polonara, ma anche la durezza fisica di Shengelia. Sono tutti aspetti che si fanno sentire".

Milano e la Virtus.

"Finaliste delle ultime tre stagioni. C’è poca distanza, ma sempre a favore di Milano. Anche perché nel frattempo è arrivato Mirotic".

C’è chi dice che il duopolio Olimpia-Virtus faccia male alla pallacanestro italiana.

"Mi permetto di dissentire".

Spieghi il motivo, però.

"Quando sono arrivato in Italia c’erano tre grandi squadre. Ignis Varese e Simmenthal Milano con un bilancio di 24 vittorie e 2 sconfitte in campionato. Cantù 21 vittorie e 5 sconfitte".

E le altre?

"Le altre, dal quarto posto in giù. tutte sotto il 50 per cento di successi. Distanza abissale. Nessuno però si è pianto addosso. Si sono rimboccati le maniche e hanno puntato forte sugli italiani".

A quei tempi era più facile.

"Sì, prima uno straniero per squadra, poi due. Il resto solo italiani. Ma gli italiani fanno la differenza. Sempre. Penso alla A2 per esempio. Comunque anche in Europa le grandi nazionali sono quelle che puntano sui giovani e costruiscono i ragazzi in casa".

La Nazionale italiana?

"Sono contento del Poz e degli innesti che ha fatto, Spagnolo, Procida. E Caruso, anche se alla fine è rimasto fuori da dodici. Sapete qual è il segreto?".

No, dica.

"Dare fiducia agli italiani. Che non significa farli giocare per regolamento, ma proprio fidarsi di loro. E del loro talento. Penso alla mia Virtus di qualche anno fa: Bertolotti, Bonamico, Villalta e Caglieris. Oppure alla mia Milano, Bariviera, i due Boselli, Premier e Gallinari".

Si torna all’importanza dei vivai.

"E alla capacità di insegnare i fondamentali. Ettore Messina e Sergio Scariolo in questo sono maestri. Ma penso anche alle direttive di un tempo".

Quali?

"Sandro Gamba era responsabile delle giovanili di Milano. Diceva che avrebbe licenziato gli allenatori che avrebbero giocato a zona in difesa o con gli schemi in attacco. Voleva contropiede e uno contro uno. E anche l’Avvocato Porelli voleva allenatori preparati perché insegnassero i fondamentali ai giovani".

La figura dell’Avvocato. Quasi leggendaria

"La racconto in un libro. Ma non è una santificazione dell’Avvocato. Perché narro anche alcuni punti, cinque, nei quali non eravamo d’accordo. Ci sono scene da morir dal ridere. Lui era un personaggio da cinema. I miei cinque anni a Bologna mi hanno formato. Sono arrivato dal Cile nel 1973 come bravo dilettante. Sono uscito da modesto professionista".

E’ vero che la licenziò dopo lo scudetto del 1976?

"Sì. Lui era in campo e piangeva per la commozione. Vide che, come americano, non avevo altrettanto trasporto".

E allora?

"Urlò: ’Diavolo d’un americano’. In realtà me ne disse ben di peggio. E aggiunse: ’Non capisci. Ti licenzio’".

E lei?

"Lasciai sbollire la rabbia. Dopo, timidamente, chiesi se potevo salire sul pullman, qualche ora dopo. Rientrò tutto".

Dove troveremo questo e altro?

"In un volume edito da Minerva".

Virtus senza Peterson 45 anni fa. Oggi senza Teodosic.

"Scariolo è stato eccezionale a gestirlo. Io avrei voluto sempre Milos in campo. Ma aveva ragione Sergio. Lo gestiva e lo aveva pronto nell’ultimo quarto".

Via Teodosic, arriva Dobric.

"Uno della Stella Rossa, uno della nazionale serba".

E quindi?

"Grandi fondamentali, grande personalità. Come dicono gli americani è come avere un conto in banca".

Facciamo un salto in A2.

"Già, la Fortitudo. Mi ricordo di Stefano Tedeschi, gli auguro buona fortuna. A lui e alla Virtus".

Alla Virtus?

"Sì, perché Bologna non può stare senza il derby. Con il derby aumenta la rivalità interna e tutte puntano in alto".

Lei, 10 derby, 9 vittorie.

"Ma la settimana del derby mi chiudevo in casa".

Perché?

"La città impazziva. Tutti mi chiedevano qualcosa. A seconda di come andava a finire la partita passavo dal mio metro e sessantacinque di altezza a due metri. Uno stress però che aiutava la città a crescere".

Fortitudo nelle mani di Attilio Caja.

"Un grande".

Cosa darà Attilio?

"Ordine, organizzazione in attacco e in difesa. Mano dura. E’ uno della vecchia scuola. Si farà valere".

E la stracittadina?

"Spero ritorni presto".

Prima tocca a lei, però.

"Già forse a settembre, forse dopo. Ma torno per parlare dell’Avvocato, del libro e di Bologna. Che mi ha formato. Cinque anni con l’Avvocato valgono quanto una laurea".

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