Azzurro speranza e paura. Dai Ridolini a Jorginho: le disfatte dell’Italia ancora senza rivincita
Le due Coree e la Macedonia: sabato abbiamo la prima possibilità di riscatto
Se non altro, stavolta l’Incubo ci concede la rivincita. E poco importa che a cercare il simbolico riscatto contro la Macedonia del Nord non ci sia più Roberto Mancini, adesso in altre faccende (saudite) affaccendato: tocca a Luciano Spalletti mettere a posto i conti con la Storia.
La Storia Azzurra, già. Gloriosa, per carità. Ma ogni tanto funestata da episodi destinati a restare nella memoria collettiva. Fino a trasformarsi in macchie indelebili.
Pak Doo Ik
La prima catastrofe calcistica risale all’estate del 1966. Fu così dirompente da rimanere, per una generazione almeno, nel vocabolario popolare: il termine “Corea” sostituì “Caporetto” nel senso di onta, disfatta, figuraccia cosmica. In pieno Boom economico, l’Italia del 1966 si immaginava favorita al Mondiale inglese. Del resto, in campo andavano giovani campioni celebri e celebrati dalle Alpi a Pantelleria: Gianni Rivera, Giacinto Facchetti, Sandro Mazzola, Enrico Albertosi, Romano Fogli… Potevano costoro farsi eliminare dai gracili, poverissimi dilettanti della Corea del Nord? Ma figuriamoci, ma dai. Il compianto Giacomo Bulgarelli, idolo di Bologna, era il regista di quella Nazionale. Una volta mi raccontò il disastro: "I coreani venivano da un mondo sconosciuto, da un paese segregato. Valcareggi, che era il vice del nostro ct Fabbri, andò a vederli e ci disse che erano undici Ridolini. Così io venni schierato titolare pur avendo un ginocchio scricchiolante. Morale: lasciai il campo in barella, all’epoca non erano ammesse le sostituzioni, i miei compagni rimasero in dieci e… ".
E venne giù l’universo. Tale Pak Doo Ik segnò per i comunisti coreani e il panico si impadronì degli azzurri. 0-1, Italia eliminata, squadra accolta da un fitto lancio di pomodori al rientro in patria e ingresso di “Corea” nel vocabolario popolare. "Avessimo giocato quella partita altre cento volte, l’avremmo vinta cento volte” (Sandro Mazzola). Ma non ci fu mai rivincita. La Nazionale italiana non ha mai più affrontato la Corea del Nord.
Moreno
Passano trentasei anni e la Catastrofe torna a bussare alle nostre porte. Nel 2002 il commissario tecnico si chiama Giovanni Trapattoni. Un mito delle panchine. Ha in organico Totti, Vieri, Del Piero, Buffon, Cannavaro. Sulla carta, siamo i favoriti, con il Brasile di Ronaldo e Rivaldo. Sulla carta, ma c’è un’altra Corea in agguato. Quella capitalista del Sud. Gioca in casa e nella Fifa presieduta dallo svizzero Blatter il denaro non dorme mai, insomma pecunia non olet.
La partita è assurda. Anche perché i padroni di casa hanno l’uomo in più. Tale Moreno, arbitro venuto dall’Ecuador, arbitro anche probabilmente venduto ma le prove non furono mai trovate. Questo Moreno, faccia da Isola dei Famosi, ne combina di cotte e di crude. A lui interessa passare alla cassa, mica passare alla Storia. L’Italia perde 2-1 e per crudele ironia della sorte il commentatore in cabina Rai, accanto a Bruno Pizzul, è Giacomo Bulgarelli. Non c’è mai stata occasione per prenderci una rivincita. "Ho sempre pensato che senza quell’arbitro lì saremmo andati avanti e saremmo arrivati fino in fondo" (Giovanni Trapattoni).
E tre
Infine, i furbi contrabbandieri macedoni (citazione Battiato). Che il Mancio non fosse più lui avremmo dovuto intuirlo quando alla vigilia dello spareggio di Palermo dichiarò: "Andremo in Qatar a prenderci la Coppa". Sì, ciao. La sconfitta, devastante, ha avuto un’onda lunghissima, fino alle dune di Gedda. Ma, se non altro, stavolta possiamo rifarci sul campo…
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