Il 2025 secondo Renzaccio. "La morte mi ha sfiorato. Ma ho ancora tanto da fare. Vedo bene il mio Bologna»

Ulivieri e la malattia: "I medici mi dissero che mi stavo spegnendo. E’ stata dura". Il futuro: "Mi ricandido per guidare l’Assoallenatori e gioco a calcio camminato".

di MASSIMO VITALI
5 gennaio 2025
Ulivieri e la malattia: "I medici mi dissero che mi stavo spegnendo. E’ stata dura". Il futuro: "Mi ricandido per guidare l’Assoallenatori e gioco a calcio camminato".

Ulivieri e la malattia: "I medici mi dissero che mi stavo spegnendo. E’ stata dura". Il futuro: "Mi ricandido per guidare l’Assoallenatori e gioco a calcio camminato".

Renzo Ulivieri, su Italiano aveva ragione lei quando a inizio stagione ci disse: ‘Bisogna dargli tempo e avere pazienza’.

"Era una previsione facile. Tutti gli allenatori che vogliono incidere e lasciare un’impronta hanno bisogno che sia dato loro il tempo di lavorare, di far passare un’idea comune di gioco, di far crescere i giocatori. E Italiano è uno di quegli allenatori".

Come lo era Renzaccio.

"Io ho sempre interpretato così il mestiere di allenatore. A me garbava insegnare calcio, ma soprattutto far crescere i Paramatti e i Tarozzi. Quando alleni una grande squadra è diverso ed è un ambiente con cui mi sono confrontato nell’esperienza al Parma. In squadra avevo gente come Buffon, Cannavaro e Thuram: che vuoi mai che potessi insegnare a giocatori così?".

Il 2024 che si è messo alle spalle le ha invece insegnato a combattere la malattia.

"Quella è una battaglia che non mi sono ancora messo del tutto alle spalle. In ospedale ero arrivato a perdere quattordici chili e ho affrontato interventi delicati. Oggi sto meglio, ma dentro e fuori mi sono rimaste cicatrici profonde".

In quei lunghi mesi in ospedale ha dovuto fare i conti anche con l’idea della morte?

"Eccome. C’è stato un momento in cui i medici mi hanno detto che mi stavo spegnendo e così a poco a poco ero entrato nell’ordine di idee che sì, avrei dovuto lasciare questa vita. Diciamo che me ne ero quasi fatto una ragione...".

A febbraio compirà 84 anni: confrontarsi con l’aldilà è nell’ordine delle cose.

"L’idea di essere vecchio non mi ha mai sfiorato. Per la prima volta ne ho preso atto quando ho compiuto settantacinque anni e un mio amico allenatore mi ha scritto ‘Complimenti per i tuoi tre quarti di secolo’. Lì ho capito che stavo invecchiando".

Però è ancora in piedi e gioca pure a calcio camminato.

"Sei contro sei su un campo di calcetto: non si corre e non si fanno contrasti. E’ uno stimolo alla salute fisica e mentale di noi anziani, ma è anche uno stimolo sociale, un modo sano di stare insieme facendo sport. Lo pratico in due campi: a Corazzano, che è una frazione di San Miniato, e a Montaione, che è il paese di Spalletti. Anche il sindaco di Montaione adesso viene ad allenarsi con noi".

Bella idea: ma praticabile?

"Non solo praticabile: pure a costo zero. Ogni società, dalla serie A alla terza categoria, dovrebbe sviluppare questa iniziativa".

Tornando al calcio di corsa: al 2025 il Bologna di Italiano può chiedere di nuovo un posto in Europa?

"E’ una squadra che da tempo ha imboccato la strada giusta. Ha giocato alla grande anche col Verona, perfino quando è si è ritrovato in inferiorità numerica. Poi alla fine ha perso, è vero. Ma quello è il bello del calcio: non sempre il più forte o il più meritevole vince".

Lei al 2025 invece cosa chiede?

"Dico la verità: in questo mondo non mi ci ritrovo. Che senso hanno oggi tutte queste guerre per contendersi un fazzoletto di terra? Quanti morti costa difendere o spostare un confine? La verità è che la guerra da sempre è un grande inganno".

Armiamoci e partite?

"Precisamente. Prendete la Prima Guerra Mondiale: un figlio di contadini della Sicilia chiamato a combattere sul Carso per i sacri confini della patria. Sapete dov’è l’inganno? Che lui un pezzetto di terra già lo aveva ed è stato costretto ad andare a morire lontano da casa per via di scelte fatte da altri. Poi lo hanno fatto passare per eroe. ‘Avanti Savoia!’ era l’ordine di assalto quando i nostri soldati uscivano con le baionette dalle trincee. O infilzavi il nemico o morivi infilzato. E oggi non mi sembra che le cose siano cambiate".

Il suo sogno di comunista romantico?

"Un mondo senza nemici né barriere".

Trent’anni fa, stagione 1994-95, alla guida del Bologna vinceva in carrozza il campionato di C. Dieci anni dopo, nel 2005, scelse di tornare per dare una mano a un altro Bologna, quello appena retrocesso in B.

"Mi è sempre piaciuto stare dalla parte dei più deboli. E poi, intendiamoci, quando scegli Bologna professionalmente non retrocedi mai".

Fedele nei secoli: fino all’annunciata scelta di portarsi un giorno nella bara la tuta del Bologna, il fischietto da allenatore e una sciarpa rossa.

"Sono pezzi importanti della mia vita. La tuta del Bologna è quella dell’anno della promozione in A, quando festeggiammo col gol di Bresciani al Chievo. La tengo in un cassetto, insieme al cappotto di lana che mi portò tante vittorie".

Nel frattempo a fine mese si ricandiderà alla presidenza dell’Associazione Allenatori: dal 2006 ricopre quell’incarico.

"Ho deciso di ricandidarmi insieme a chi mi ha affiancato in questo percorso, gli attuali vicepresidenti Perondi, Vossi e Camolese. Ci attendono tante sfide e se otterremo la fiducia riusciremo a completare il lavoro".

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