Dottor Ancelotti da lode. Le lacrime alla laurea: "Il mio calcio è rispetto"

Al tecnico del Real il titolo ad honorem in Scienze Motorie a Parma "Continuo a fare esami, ogni tre giorni c’è una partita: e amo ascoltare".

di PAOLO GRILLI -
12 ottobre 2023
Dottor Ancelotti da lode. Le lacrime alla laurea: "Il mio calcio è rispetto"

Dottor Ancelotti da lode. Le lacrime alla laurea: "Il mio calcio è rispetto"

dall’inviato

Anche Dottore. E noi siamo qui, di nuovo, a doverci lamentare della fuga dei cervelli. Carlo Ancelotti da ieri è laureato ad honorem in Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate. Mai titolo fu più meritato. Ma allora, per coerenza e completezza, bisognerebbe assegnargli altri titoli magistrali: per l’arte di far rendere al meglio ogni squadra si trovi ad allenare; per la capacità incomparabile di far convivere gioiosamente tanti galli nel pollaio – le star alle sue direttive –, per la calma con cui riesce a dominare in uno dei mondi più stressogeni che esistano, quello del pallone. In cui ha saputo pure trasmettere al figlio Davide tutta la sua esperienza, traendo allo stesso tempo dall’erede l’energia e le idee nuove per crescere insieme: l’ennesima sua lezione sul confronto che sempre deve arricchire e mai dividere.

Poi, un’altra laurea specialistica spetterebbe di diritto a Carletto – magna cum laude – per la sua abilità, quasi una magia, di far apparire normali imprese eccezionali nello sport più popolare, e quindi più competitivo, che ci sia.

Il segreto di Ancelotti è racchiuso nella lacrima che si lascia sfuggire mentre espone la sua lectio doctoralis all’Auditorium Paganini, splendido teatro della cerimonia per l’Università di Parma. La sua commozione parla di un animo sensibile, che l’ebbrezza dei mille trionfi non ha corrotto, di una passione che lo ha sostenuto in questi 44 anni da professionista fra campo e panchina. E quindi ora rimpiangiamo, soprattutto, la fuga di un grande cuore.

"E’ genetico, il fatto di commuoversi, lo fanno tutti i miei parenti nelle occasioni importanti", si schermisce Carletto. A Reggiolo, la sua infanzia ha seguito presto la traiettoria di un pallone pieno di sogni. Ma sempre tenendo i piedi per terra, grazie alla famiglia di agricoltori. Nomen, omen: l’uva ancellotta ha fatto ricca l’Emilia, il suo nobile contributo aromatico è fondamentale per esaltare tanti vini.

Inevitabilmente prolungati, gli interventi che hanno anticipato in maniera rituale le parole del tecnico. Perché il solo elenco dei trionfi e dei record di Carletto richiede tempo. Il rettore Paolo Andrei ha fissato un momento fondamentale per la carriera del grande protagonista, e per il Parma: la doppietta con cui, nel 1979, contribuì a vincere lo spareggio contro la Triestina per la promozione in serie B dei ducali. L’epifania di un campione controcorrente, per come ha affrontato ogni prova della sua carriera dribblando iperboli e personalismi.

"Esami ne ho fatti e farò ancora tanti, ogni tre giorni abbiamo una partita – dice Ancelotti, commosso –. Il talento è genetico, si può solo imparare a gestirlo bene. Ma lo sport è di tutti, è una scuola di vita perché consente di crescere conoscendo e superando i propri limiti".

Carletto fa partire i ricordi da quando era ragazzino e a calcio si giocava all’oratorio finché non si faceva buio, ma a volte anche oltre. "Per me è stato importante crescere in un ambiente positivo – dichiara – è stata la base per diventare quello che sono oggi".

Poi la precisazione doverosa: "Sono state tante le vittorie, i momenti fantastici, ma nessuna vita e nessuna carriera è immacolata. Ci sono i momenti duri, gli infortuni, le sconfitte, come quella in finale di Champions col Milan nel 2005, gli esoneri. E l’esperienza ti aiuta a superarli". Come ha ricordato nella laudatio il giornalista Luigi Garlando (prima della laurea Ancelotti è stato premiato dal Gergs Ussi) da giovane Carletto ha avuto due gravi infortuni alle ginocchia. Ma la sua fibra ne è uscita ancora più forte.

La lezione del laureato eccellente non è di tecnica o di tattica, va più in profondità. "Il calcio è relazione tra persone, rispetto per le regole e per i ruoli – dice –. La persona è quello che uno è, non quello che fa. Bisogna saper ascoltare, essere onesti con se stessi e, se serve, cambiare parere. Io sono molto calmo e paziente. Non devo diventare altro, l’equilibrio è una componente importante del nostro mondo".

Non si può diventare maestri senza aver avuto guide esemplari. "Solo con Arrigo Sacchi – precisa – ha capito che il calcio non è uno sport individuale. Lui è stato un ’marziano’ arrivato in un mondo rimasto indietro. E per come la vedo io, un campione è tale solo se riesce a mettere il suo talento al servizio degli altri. La differenza è tra egoismo e altruismo".

In platea, Sacchi applaude assieme ad Ariedo Braida. E ribadisce poi quali siano le qualità del neo laureato: "L’umanità e l’intelligenza, che lo hanno fatto eccellere ovunque".

Il filo rosso di una carriera leggendaria, rosso come il ’tocco’ messo sul capo e la toga indossata ieri da Ancelotti, è stato quello della passione.

"Il calcio – ha detto Carletto – non è un lavoro per me, non ha mai rappresentato un sacrificio. E’ qualcosa che continua a piacermi, tantissimo. L’imprevedibilità, l’incertezza di una partita ti conquistano. Vado all’allenamento ogni giorno e non mi pesa. Questo è stato un viaggio lunghissimo e appassionante. Certo, ora sono laureato. Sono anche già nonno. Non sono più quel ragazzino che giocava tutto il giorno...".

Standing ovation per il neo laureato. Applausi a profusione, come quando gioca il suo Real.

Molto più di un dottore, un professore. In Brasile, dal 2024, l’ennesima sfida. Da affrontare con la calma dei saggi, coi piedi per terra, col cuore che indica sempre la strada. Aggrottando quel sopracciglio come per interrogare il destino, e vedendoci sempre, poi, qualcosa di buono.

Continua a leggere tutte le notizie di sport su