Addio Gigi Riva, Rombo di Tuono. Ha fatto sognare l’Italia e portò Cagliari nel mito: l’ultimo uomo verticale

Il bomber della Nazionale italiana è morto nella sua città d’adozione a 79 anni. Disse no alle grandi per restare in Sardegna. Ha rifiutato un’operazione al cuore

di LEO TURRINI -
22 gennaio 2024

Roma, 22 gennaio 2024 – Era il nostro eroe mitologico, Gigi Riva. Era il simbolo di una Italia che spasmodicamente cercava conferma di una resurrezione, della rinascita post bellica.

Gigi Riva
Gigi Riva

E non sono sicuro che questo uomo grande grande grande, non solo sui campi di calcio, ne fosse pienamente consapevole: possedeva intimamente, il personaggio, un tratto di umiltà figlio presumibilmente delle origini difficili, una infanzia segnata dai lutti familiari, una traccia indelebile nell’anima e nella carne. Molti anni fa gli Stadio, il gruppo del geniale Gaetano Curreri, musicò una poesia di Roberto Roversi. La canzone si intitolava Chiedi chi erano i Beatles . E se adesso mi chiedo, con un groppo in gola, chi era Luigi Riva da Leggiuno, provincia di Varese, classe 1944, beh, temo di perdermi tra le onde alte della malinconia.

Liquiderò subito la faccenda dei numeri, che dicono abbastanza ma non tutto: 164 gol tutti con la maglia del Cagliari e 35 con la Nazionale. Nessuno in maglia azzurra ha segnato tanti come lui, nella storia. Non Meazza, non Totti, non Baggio, non Del Piero.

Eppure, fidatevi: le cifre lasciano intuire, ma non spiegano. Riva, il mancino di Dio, perché usava solo il sinistro, è stato tanto, tanto di più. Aveva una forza irresistibile, Gianni Brera lo chiamava ‘Rombo di Tuono’ e non era una semplice etichetta. Gigi bucava la rete con le sue staffilate, con le sue rovesciate, con i suoi colpi di testa.

Tutto vero, ma ancora non ci siamo. Riva è l’eroe mitologico evocato nella prima riga per il coraggio incredibile con il quale scelse di immedesimarsi in una terra non sua, la Sardegna, che invece trasformò in un tempio dell’anima.

Negli anni Sessanta, i favolosi anni Sessanta, l’isola dei Quattro Mori era ancora un corpo separato non solo fisicamente dal continente. Era una entità remota, fuori dalle mete del turismo di massa. Faceva notizia per i suoi pastori, i suoi formaggi, i suoi banditi di Orgosolo e dicono che il super latitante Graziano Mesina andasse allo stadio in incognito per incitare il leggendario numero undici. Tutto lì, niente lì.

Ecco, è Gigi Riva a persuadere il resto d’Italia che c’è anche altro, molto altro. Lo fa restando fedele per sempre alla maglia del Cagliari. L’avvocato Gianni Agnelli lo voleva assolutamente alla Juve: respinto. Inter e Milan fecero offerte faraoniche: rifiutate. Qui Riva diventò amico di Fabrizio De André, taciturno come lui. Qui incontrò anche il bandito Graziano Mesina, che si metteva la barba finta per andarlo a vedere allo stadio.

Gigi forse non lo sapeva e di sicuro non amava sentirselo dire, perché come ho detto ero schivo, riservato, taciturno: ma in quella Italia là, in quella Sardegna là, lui fu il Robin Hood della pedata. Senza rubare ai ricchi, perché raramente abbiamo ammirato un campione più pulito di lui. Ma era Robin Hood perché restituiva la speranza e persino l’identità a un popolo disperso. E con le sue imprese inimmaginabili Riva regalava un sogno a ognuno di noi. Era un idolo trasversale: forse come lui, in un’epoca diversa, c’è stato solo Maradona.

Lo scudetto conquistato dal Cagliari nel 1970 è finito nei libri, nei film, nei documentari. Certo, era la squadra dell’allenatore filosofo Scopigno, di Albertosi il portiere, di Cera e Greatti a centrocampo, di Domenghini a sbuffare la fascia: ma erano tutti devoti seguaci del culto di Rombo di Tuono, il gran sacerdote, il profeta, il semidio.

Forse per esplicitare la vocazione al ruolo di simbolo unificante, Gigi ha dato due gambe alla Nazionale. Incidenti gravissimi, nel 1967 e nel 1970, ma non in grado di spezzarne fibra e talento. In azzurro fu campione d’Europa nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970. Fece un gol alla Germania nel mitico 4-3 e si inchinò a Pelé, che lo ammirava, in finale. Ma la Coppa del Mondo l’ha vinta da dirigente, accanto a Marcello Lippi, nel 2006: in un ruolo ricoperto con discrezione e la consueta estrema dignità.

Geloso del suo privato (mezzo secolo fa fece scalpore la sua storia con una donna già sposata, poi madre dei suoi figli), negli ultimi tempi Gigi Riva si era chiuso in area di rigore. Non usciva più, non voleva rispondere al telefono. Amava ritrovarsi con se stesso, come un eroe omerico sotto la sua tenda. Come si fa a non dirgli grazie?

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