Lalas, il primo americano in serie A: "Chitarra e pallone: non sono cambiato ma l’Italia mi manca"

Alexi Lalas fu acquistato dal Padova nel 1994 dopo i mondiali negli States. "Ho visto che il mio presidente di allora è diventato sindaco della città. Adesso commento il calcio femminile sulla Fox e registro i miei dischi"

di DORIANO RABOTTI
17 dicembre 2023
Alexi Lalas

Alexi Lalas

Roma, 18 dicembre 2023 – Se cercate uno stereotipo, è inutile suonare al campanello di Alexi Lalas. Perché l’ex calciatore americano sembra divertirsi a cancellarli, i luoghi comuni. Come viene naturale ai pionieri: primo calciatore statunitense della nostra serie A, dove giocò tra il ’94 e il ’96 nel Padova, menestrello con la chitarra in mano, poi laureato alla Rutgers University, oggi attivo microblogger e commentatore tv per la Fox sul calcio femminile. Che negli Stati Uniti vale quasi più di quello maschile: "È una questione di rispetto, di cultura. Ci abbiamo lavorato per tanti anni, a costruire una infrastruttura che è anche sociale. E oggi per me non c’è differenza nel vedere una partita di uomini o di donne, a livello di spettacolo".

Benvenuti nel mondo colorato di un uomo che ha smesso i panni del bardo per indossare completi gessati, che ha tagliato capelli e barba oversize, ma dentro rimane sempre quello. Un grande curioso della vita, nel cui sguardo vale la pena specchiarsi. A partire da quella parola, rispetto.

Lalas, perché dice che il decollo del calcio femminile deriva dal rispetto?

"Perché negli Stati Uniti abbiamo ottenuto risultati dopo decenni di investimenti a tutti i livelli, nell’attività scolastica, negli stadi, e sono convinto che il lavoro fatto nel nostro paese sia servito moltissimo anche per il resto del mondo. Una volta scoperto che si poteva fare, anche gli altri hanno capito quale grande opportunità sia il calcio femminile per tutti. A livello sportivo e anche di business, non ha senso nasconderlo".

Lei ha visto l’ultimo mondiale femminile. Che cosa pensa delle azzurre?

"Che al di là del risultato ottenuto, non vedo proprio un motivo per cui l’Italia non possa arrivare a giocarsi un titolo mondiale e a vincerlo, come ha fatto la Spagna. Perché la Spagna sì e l’Italia no? Certo, servono investimenti, risorse, bisogna puntarci molto. E soprattutto avere rispetto, il calcio femminile ha la stessa dignità di quello maschile".

Lei in Italia divenne subito un personaggio, la ricordano ancora oggi dopo trent’anni.

"Mi fa piacere, ma sono io che devo ringraziare l’Italia per quello che mi ha dato".

Per esempio?

"Sul piano sportivo è stata un’esperienza fondamentale, perché io non avevo mai giocato in un club, praticamente avevo disputato solo partite con la nazionale e dopo il mondiale del 1994 mi prese il Padova".

Dove lei si ambientò benissimo.

"La città era meravigliosa, per me era tutto nuovo, una lingua da imparare. Mi hanno aperto il cuore e donato una grandissima accoglienza, ho conosciuto un modo di vivere completamente diverso. Sono tornato qualche anno fa e ho rivisto i vecchi amici e compagni, il presidente Sergio Giordani oggi è il sindaco, e poi Franceschetti, Coppola, Damiano Longhi. Quanti ricordi. La verità è che quando sono tornato dall’Italia non ero soltanto un calciatore migliore: ero un uomo molto più ricco dentro".

Molti ricordano le sue esibizioni con la chitarra alla Domenica Sportiva o a Mai Dire Goal.

"Ah ma non ho mica smesso, suono ancora il mio pop-rock e incido dischi, mentre facciamo questa intervista sono nel mio studio di registrazione a Los Angeles".

Però i capelli sono corti adesso.

"Ho ripulito un po’ l’esterno, ma vi assicuro che dentro lo spirito è sempre lo stesso".

Sa che quest’anno ci sono quattro statunitensi in Serie A, una cosa mai accaduta?

"Certo, li seguo sempre, guardo le partite. Anche se il campionato italiano è stato sorpassato da quello inglese, da noi è facile vederlo. E anche l’arrivo degli americani può aiutare a riconquistare terreno".

Anche perché i vari Pulisic, Weah, Musah e McKennie giocano in grandi squadre.

"Infatti. Ma la cosa più importante è che di questi ragazzi non si dice più che sono bravi giocatori ’americani’, si dice che sono bravi e basta. Pulisic è una delle nostre stelle su cui abbiamo grandi aspettative per il 2026, sono molto contento che sia venuto a vivere questa esperienza. Musah è un ragazzo che si vede poco, ma se fossi un allenatore io uno così nella mia squadra lo vorrei sempre. Weah e McKennie sanno fare tante cose, possono giocare in ruoli diversi. E comunque farlo nel Milan o nella Juventus aumenta la tua credibilità e quella di tutto il calcio americano. E per i club italiani è una grande opportunità di marketing".

In questi anni avete accolto molti italiani, nella Mls.

"Qualche giorno fa ho visto l’ultima partita di Chiellini. Ho capito dalle parole di Giorgio che l’unico motivo che non l’ha spinto a venire prima negli Usa sono stati i soldi, la differenza di ingaggio. È stato onesto a dirlo. Qui ci ricordiamo benissimo di Galderisi, di Pirlo, dei molti italiani che sono venuti a giocare a Toronto negli ultimi anni. Il mondo si è aperto, bastava avere un po’ di coraggio per affrontare questa avventura".

Dal Canada viene anche Joey Saputo, proprietario del Montreal e del Bologna rivelazione.

"Joey da noi è una leggenda perché è uno che prepara grandi cose, finora non ha avuto un successo pari alle ambizioni. Ma ha costruito una bella realtà a Montreal, con una base di tifosi importante".

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