Spese, intuizioni, l'ossessione per il bel gioco: così Silvio Berlusconi ha cambiato il calcio

Acquistò un Milan derelitto da Giussy Farina e lo trasformò nella squadra più forte del mondo. In tempi più recenti il ritorno in campo con il Monza

di GIULIO MOLA -
12 giugno 2023
Silvio Berlusconi brinda a una vittoria del Milan: con lui Franco Baresi, Pier Silvio, Paolo e Capello

Silvio Berlusconi brinda a una vittoria del Milan: con lui Franco Baresi, Pier Silvio, Paolo e Capello

Milano – C’era una volta Silvio Berlusconi, un politico di destra che nel pallone è riuscito a fare una rivoluzione... di sinistra. Nel senso di svolta estetica (“il bel giuoco”), di visione ricca di sostanza (“compro i campioni per vincere”) e non unicamente di sostanze, polemiche o scandali.

Ossessione per la bellezza

Il suo doveva essere un Milan bello, elegante, magari narciso: sempre in smoking e mai in jeans. Perché pretendeva che si entrasse nel salotto degli italiani come nei salotti delle feste di gala: almeno in giacca e cravatta. E poi. Una squadra di gioco e non banalmente di giochi. Perciò il suo è stato un Milan che è riuscito a volare ben oltre il confine. A conquistare chi il calcio lo amava davvero.

Negli anni è passato dal mattone alle televisioni, poi le polisportive prima di “battezzare“ il calcio, solo il calcio. Lui che da adolescente era stato scartato a un provino ma che ugualmente da giovane appassionato si accomodava sulla panchina dell’Edilnord per dirigere e spiegare il suo calcio.

La salvezza del Diavolo

Il Milan di Silvio, che goduria. Appena acquisito il Diavolo malconcio dalle mani bucate di Giussy Farina, era lui a rispondere al telefono quando chiamavi in sede. Spiegava, parlava, chiariva. Un instancabile maratoneta delle interviste. Anche se, per strappargli due o dieci battute dovevi guardarlo fisso negli occhi. Altrimenti lui si distraeva. Il suo Milan. Quel Milan.

Con ogni persona da scegliere e da mettere al punto giusto. Adriano Galliani, l’amico di una vita. Arrigo Sacchi, l’allenatore quasi sconosciuto, un ex terzinaccio di un’altra Romagna. Da tecnico, l’uomo di Fusignano col suo Parma si fece beffe del Milan di Nils Liedholm, il barone, il primo coach del Cavaliere. Troppo raffinato e retrò, oltre che ironico, per scatenare l’entusiasmo del "centravanti dell’Edilnord”. Era un calcio, il calcio di quel tempo, legato alla scuola italianista del Trap, il grande mondo antico cantato da Gianni Brera, uno scrigno geloso dei ricordi di Helenio Herrera e di Nereo Rocco.

Rivoluzione in campo

Sua Emittenza straparlava di mission, di spettacolo, appunto di “bel giuoco” avvolgente e divertente, voleva vincere e convincere, se possibile stravincere. Ci riuscì, quando gli avversari e la critica, invidiosi come non mai, gli davano del presuntuoso.

Il Milan di Arrigo, il Diavolo di capitan Franco Baresi e del giovanissimo Paolo Maldini, di Roberto Donadoni, e poi l’orchestra dei tre olandesi (Ruud Gullit e Marco Van Bastens subito, Frank Rijkaard l’anno dopo), e “gregari“ dal cuore immenso come Pietro Paolo Virdis e Daniele Massaro.

Galleria di successi

Uno scudetto conteso e strappato al Napoli di un certo Diego Armando Maradona, ma ben due Coppe dei Campioni, due Supercoppe d’Europa e due Coppe Intercontinentali. Il 5-0 al Real Madrid di Butragueño fu uno sballo epico che persino gli avversari si tramandano. Più ancora del 4-0 ai rumeni dello Steaua, nella finale di Barcellona.

Poi Fabio Capello, quindi Carletto Ancelotti. Per alzare al cielo cinque Coppe dei Campioni/Champions League. Gli piaceva l’informazione ma soprattutto fare le formazioni e stuzzicare “il sarto“ Carletto o il permaloso Allegri, di fatto ha segnato e trasfigurato lo sport. Perché è vero, è stato il primo a cambiare il calcio.

Il presidente-allenatore  

Come gli emiri oggi, Silvio spendeva e spandeva: solo che le figurine dei suoi album rispondevano non tanto ai capricci del capo, ma anche a un piano, a un disegno dell’allenatore designato. Carica e ruolo che il Cavaliere ha spesso avocato a sé. Era un calcio dei ricchi, il suo.

Come lo era il calcio degli Agnelli e dei Moratti. Molto più del pallone di De Laurentiis e di Lotito. Nessuno è più riuscito a costruire un Milan simile, una squadra così diversa, così lontana dallo zoccolo filosofico del Paese. Così di rottura. Il Monza è stata la sua ultima coloratissima cartolina di un calcio fatto di cuore e passione. Che purtroppo non esiste più

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