Fonseca, crocevia Roma. L’ex è in cerca di rivincite

L’allenatore del Milan ritrova i giallorossi per una definitiva svolta in stagione. Nella Capitale visse con Dzeko un rapporto simile a quelli con Leao e Theo.

di ALESSANDRO LUIGI MAGGI
28 dicembre 2024
Paulo Fonseca, allenatore del Milan, è stato il tecnico della Roma per due campionati nei quali ha raccolto un quinto e un settimo posto in classifica

Paulo Fonseca, allenatore del Milan, è stato il tecnico della Roma per due campionati nei quali ha raccolto un quinto e un settimo posto in classifica

Doveva essere la mite espressione della società. È, ad oggi, qualcosa di molto differente. Milan-Roma di domenica porta impresso il volto di Paulo Fonseca, un uomo che se non è fuggito al dovere aziendalista ricercato dalla dirigenza rossonera, nello spogliatoio è entrato da subito con il bastone, non con la carota. Elegante, sguardo fiero, sorrisi diffusi in sala stampa, la serenità anche nel pieno della tempesta. In cinque mesi il portoghese di Maputo, Mozambico, ha attraversato fasi che, altri, si sono ritrovati ad affrontare in anni. Sconfessato da Ibrahimovic in sede di mercato, snobbato nel cooling break dell’Olimpico, indicato prossimo all’esonero nella settimana del derby, trionfatore dove Pioli conobbe l’onta e a Madrid, disatteso nei rigori di Firenze, quindi blindato dalla dirigenza mentre la classifica di Serie A si dilatava, per difetto. Infine aggressivo dopo il successo sulla Stella Rossa.

Si sussurrava fosse stato indicato dall’algoritmo, a dire il vero la matematica pare essere diventata un’opinione. In difesa tra Tomori, Kalulu e Pavlovic è saltato fuori uno con la valigia in mano, Matteo Gabbia. A centrocampo il prescelto da Fonseca era Alexis Saelemaekers, in campo domenica, ma in giallorosso. E nella fase offensiva Ruben Loftus-Cheek, Noah Okafor e Samuel Chukwueze sono pesi, più che alternative.

C’è però il lavoro, e il bastone. A Roma, dove il portoghese è rimasto due anni, lo sanno bene, ricordando lo scontro con Edin Dzeko post Spezia in Coppa Italia. Il bosniaco venne emarginato per motivi disciplinari, si racconta che lo staff dovette mettersi fisicamente di mezzo per evitare lo scontro vero. Al Milan il primo, probabilmente, a viverlo sulla propria pelle è stato Rafael Leao. Esclusioni in serie, quindi la ritrovata centralità, anche frutto di un fitto e costante confronto. C’è chi pensa che il 10 si sia rialzato da solo facendo buon viso a cattivo gioco, chi guarda il campo e nota accorgimenti. Quel 4-2-3-1 che pare più una difesa a 5 con Musah a destra evita a Leao gli odiati compiti di ripiegamento, e al tempo stesso tempo comporta uno sviluppo. L’ultimo goal in Champions è il manifesto: mezzaluna sul lancio di Fofana per poi prendere la profondità. Da centravanti.

Ora è il turno di Theo Hernandez. Distratto da situazioni extracampo, molle nel rettangolo di gioco, sui tagli, in copertura. Spinta assente. Non si ceda alla fretta di credere nella totale rottura. Il francese non è ancora uscito di scena, Alex Jimenez più di Terracciano può essere lo stimolo. Anche perché l’algoritmo non ha raccontato solo bugie: Fofana, Thiaw e Reijnders sono testimonianze viventi di una crescita oltre le aspettative. Altro lo si vedrà con la Roma. La piazza in cui tutti hanno fatto male ultimamente, e che per Paulo Fonseca è stata una prima bocciatura verso la grandezza. Quel che sarà il Milan, per lui, lo diranno le prossime settimane.

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