Il tecnico con la voglia di cambiare il Milan. "Ora il coraggio». La rivoluzione di Conceiçao

Dal gentiluomo da Maputo al sergente di ferro da Coimbra, continuano i giorni della rivoluzione portoghese nel cuore e...

di LUCA MIGNANI
5 gennaio 2025
Sergio Conceiçao, 50 anni, punta domani sera il primo trofeo dell’era Cardinale

Sergio Conceiçao, 50 anni, punta domani sera il primo trofeo dell’era Cardinale

Dal gentiluomo da Maputo al sergente di ferro da Coimbra, continuano i giorni della rivoluzione portoghese nel cuore e nella pancia del Diavolo. Il vento del deserto ha sparigliato le carte: era l’obiettivo primario. Come, è tutta un’altra storia. Ma non conta: Sergio Conceiçao l’ha messo nero su bianco praticamente appena ha messo i piedi per terra a Linate. Conta vincere, stop. Allenamento appena arrivato a Milanello, perfino una doppia sessione di vigilia. Tradotto: la ricetta è solo una, lavorare. Così, ha vinto, dopo un esordio prima da mani nei capelli e poi da braccia al cielo. Dai guaiti ai ruggiti che hanno sciolto la Juve, caduta soprattutto per ferite autoinflitte. Così un abbraccio allo sfortunato e infortunato Francisco, tornato figlio e non più solo avversario a fine partita, su la giacca lanciata via dopo pochi minuti alla faccia dei 39 di febbre, e sguardo al passo successivo: l’Inter. Per lui, rappresenta sia futuro che passato. Passato doloroso, due stagioni da calciatore che hanno fatto rima con le sofferenze più lancinanti, per i tifosi nerazzurri, degli ultimi anni.

Cinque maggio 2002, all’Olimpico, è il primo a essere sostituito da Cuper che non evita il tracollo all’ultima tappa sulla strada per lo scudetto. 13 maggio 2003, fino all’ultima goccia di sudore e lacrime nel doppio euroderby in semifinale di Champions perso dopo due pareggi. Passato. Ora, è tempo di derby d’Arabia. E oltre a Inzaghi (e Ancelotti), anche a Conceiçao piace la coppa. Quella italiana l’ha alzata non appena arrivato alla Lazio, grazie a un suo gol nel recupero proprio contro la Juventus. In patria, ha messo undici titoli in sette anni sul biglietto da visita. Ora, dopo solo due partite sulla panchina rossonera, può aggiungerne un altro: sarebbe il primo dell’era Cardinale. Conta solo questo. Lo ha detto Bennacer, in mezzo al ’cerchio magico’ che ha coinvolto tutti a fine partita. Un’ora prima, molta meno magia nella pancia dell’Al-Awwal Park, dove sono scesi anche Ibrahimovic e Moncada. "Quello che ho detto ai giocatori resta in spogliatoio. Ma di certo non ho dato nè baci, nè carezze. Io non sono un tipo simpatico. Ed ero un po’ arrabbiato. Non voglio parlare del lavoro di Fonseca, ma avevo visto ancora una squadra un po’ dubbiosa. Invece abbiamo bisogno di coraggio", le parole del tecnico.

"Non stavamo facendo ciò che avevamo preparato: senza palla eravamo fuori posizione, con la palla poca attenzione a centrocampo, poca profondità sulle ali". Poi, il clic. Il passaggio al 4-4-2, il 5-4-1 finale. Nel mezzo, rabbia e concretezza. In dote, la fortuna che aiuta gli audaci. E il pass per la finale. La febbre (da derby) difficilmente scenderà in questi giorni. Conceiçao non ci farà caso. Dritto per dritto, da par suo. Per entrare nella storia.

Continua a leggere tutte le notizie di sport su