Sergio balla con il Diavolo. È già il Milan di Conceição: "Baci? No, voglio vincere»

Dopo i passi di danza con il sigaro nello spogliatoio di Riad, pensa già al Cagliari "Non sono qui per farmi amici". E Ibra cambia tono: "Ora il duro è in panchina".

di LUCA MIGNANI
8 gennaio 2025
Sergio Conceição, 50 anni, con la Supercoppa Italiana: in due sole partite alla guida del Milan ha alzato subito un trofeo

Sergio Conceição, 50 anni, con la Supercoppa Italiana: in due sole partite alla guida del Milan ha alzato subito un trofeo

Una settimana da Conceiçao. Porto-Linate-Milanello-Malpensa-Riad. Per finire con il sigaro in bocca, un calumet della pace tra il Milan e la propria storia. E a ballare la Sergio dance dei tempi del Porto, sulla note di Danza Kuduro che diventa la danza del futuro. Il suo che, fin qui, ha giocato con il tempo come nessuno ha mai saputo fare. Con un pugno sul tavolo, a muso duro, ribaltando la storia. Compresi chili di corsi e ricorsi. Alla faccia del “febbrone” che si è beccato alla svelta, anche a 39. Febbre da derby, evidentemente. Febbre da cavallo. Un cavallo su cui puntare. Nonostante la partenza zoppa. Questione di passo. Quello che Ibrahimovic è pronto a fare all’indietro: "Ora, per il bastone, c’è lui. Io sarò quello degli abbracci". Un telegramma definitivo che chiude col passato. Il futuro, del resto, ha già bussato. Picchiando forte.

Primo giorno e primo messaggio ai naviganti: giù dall’aereo, subito a Milanello, subitissimo in campo. Chi ha tempo non aspetti tempo: non ce n’è. Tant’è: alla vigilia della sfida con la Juventus, doppia seduta. Ossia una rarità. Perché il calcio sarà anche "semplice. In una porta bisogna fare gol. Nell’altra bisogna non prenderne", ma l’uomo da Coimbra, quella semplicità, la mette di fianco, anzi sotto, a un verbo da cui non prescinde: pedalare. E pedalando viene fuori "il coraggio che serve per riportare il Milan dove deve essere, non all’ottavo posto". Quindi una pacca a Theo Hernandez e un’altra a Leao. Sembra facile, sembra. Ma di fatto si riforma la “Theao“, nella ripresa dell’ultimo atto arabo. Tomori ai margini con Fonseca, Tomori verso la Juventus... Tomori torna titolare. 4-2-3-1, 4-3-3, 5-4-1, 5-3-2... Compattezza. Sembra facile, sembra.

Sembra un incubo, l’incipit, contro la Juventus del figlio Francisco: "A casa lo è, non qui. E se ho gli occhi lucidi è perché ho 39 di febbre". Quella Juve che aveva battuto all’esordio da calciatore in Italia, proprio in Supercoppa, nel 1998, chiude il primo tempo sull’1-0. In controllo, recita il sottotitolo. Ibrahimovic e Moncada scendono in spogliatoio, Conceiçao non manda certo "baci o carezze, non sono un tipo simpatico". Ma si vede che si fa capire bene quando vuole. Non è ancora tempo di far (inavvertitamente?) piombare sul pavimento uno schermo. Il “clic“, però, scatta. "Non sono qui per farmi amici, ma per vincere". Detto, fatto.

Qui nasce un fiore nel deserto. Un dito negli occhi dei buongustai pallonari, forse. Ma, adesso, non conta. Rifioriscono anche i soprannomi, come nel caso del gentiluomo di Maputo. Cambia musica, cambia aura, cambia elettricità. Proprio quel grande cambiamento pennellato da Fonseca, arriva invece con il sergente di ferro, con l’hombre vertical. Un passaggio di consegne avvenuto a Riad sotto gli occhi di Pioli, trasferitosi qui ad allenare Cristiano Ronaldo. Quando si dice il destino. Non nel segno della poesia promessa da Paulo. Nel segno, opposto, della prosa e di tutta la sua efficacissima concretezza.

"Nelle difficoltà nascono le cose belle". E ancora: "Puoi avere tutta la fede che vuoi, ma per vincere il lotto devi andare a giocarlo". Vincere la finale con l’Inter, alla vigilia, ha proprio quell’aria lì: del pescare il biglietto benedetto. Non è così alla fine. Il passato torna ancora, perché Conceiçao, da giocatore nerazzurro tra il 2001 e il 2003, ha provato sulla propria pelle cosa significa essere sorpassati all’ultima curva dalla Juventus. E l’ha rimontata. Ha visto quanto può essere grande il Milan, nel dopio derby di Champions in semifinale. Ed è andato sotto due volte. Ma, ancora all’intervallo, ha dato quella scossa che tutti chiedono al nuovo arrivato.

Ora, messe radici forti, i prossimi passi: entrare tra le prime otto in Champions, rientrare tra le prime quattro in campionato. Soprattutto, sabato a San Siro, il Cagliari. Senza febbre, smaltita "l’entrata da rosso di Emerson Royal" durante i festeggiamenti. Con in dote una settimana, due partite, una Supercoppa strappata alle storiche rivali. Il cinquantesimo titolo per il Milan. Il primo dell’era Cardinale. E un primo, pesantissimo, passo.

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