Napoli, da De Laurentiis a Spalletti: i protagonisti dello scudetto azzurro

Il terzo titolo del club partenopeo affonda le sue radici in un progetto nato nell'ormai lontano 2004. Da allora tanti cambiamenti e una sola costante: il bene supremo della società

di GIUSY ANNA MARIA D'ALESSIO
5 maggio 2023

Napoli, 5 maggio 2023 - Scudetto doveva essere e scudetto è stato: la giornata di campionato buona per aggiornare la bacheca è stata la 33esima, quella che un'intera piazza non dimenticherà mai. Il Napoli è campione d'Italia e lo è grazie a un progetto partito da lontano nel segno di Aurelio De Laurentiis.

De Laurentiis

A meno di 20 anni dall'acquisizione del club, prelevato dai bassifondi della vecchia Serie C1, il patron ha completato ufficialmente una scalata dai tratti quasi epici. Merito di un presidente anomalo nel contesto di un calcio italiano spesso votato alle spese estreme per non inimicarsi i tifosi e per mantenere competitiva la squadra. ADL ha raggiunto tutti i suoi obiettivi procedendo di testa sua: con buona pace di una piazza assetata di successi che non sempre ha avuto la lungimiranza necessaria per capire le mosse del grande capo del Napoli. Succede così che cessioni illustri - alcune addirittura senza incassare un euro - diventino il preludio all'acme del progetto di un De Laurentiis al quale la suddetta lungimiranza non è mai mancata. Certo, in quasi 19 anni di gestione qualche intoppo c'è stato, così come ci sono state delle scelte non sempre felicissime sul piano degli allenatori e dei collaboratori: tutti passi falsi relegati rapidamente a incidenti di percorso grazie a una gestione illuminata che ha sempre avuto come fulcro centrale il bene della società, in ogni suo ramo. Uno dei principali meriti di De Laurentiis sta proprio in questo: aver trasformato una piazza notoriamente abituata ad appoggiarsi su un singolo beniamino, con il compianto Diego Armando Maradona come emblema, in una più matura che accetta più o meno di buongrado anche le decisioni all'apparenza più impopolari. Certo, qualora la festa azzurra quest'estate fosse turbata dall'addio di qualche big della rosa non tutti all'ombra del Vesuvio avranno la lucidità per leggere tra le righe di quest'altra mossa di ADL, l'uomo che non farà mai il passo più lungo della gamba: a maggior ragione ora che è stato toccato l'apice. Qui si torna però alla filosofia di un uomo capace di 'ingannare' gli avversari ma anche i suoi stessi tifosi: anche a fronte di qualche partenza illustre, guai a pensare al ridimensionamento di un Napoli che ha dimostrato ormai senza più alcun dubbio di sapere ormai camminare da solo e senza più il sostegno di 'stampelle' tanto costose quanto improduttive.

Spalletti

Un'eccezione potrebbe però esserci e risponde al nome di Luciano Spalletti, il capitano di una nave che di tempeste sulla sua rotta ne ha affrontate parecchie: lo ha ricordato proprio il diretto interessato a margine del tripudio, rievocando la contestazione dell'anno scorso dopo che il sogno scudetto era clamorosamente scivolato via nelle ultime curve. In quei mesi molti ultras chiesero la testa del tecnico toscano, bravo a rialzare la suddetta testa e a farlo fare a una squadra infarcita di talenti in erba e semi-sconosciuti che avevano preso il posto dei veterani che più volte erano crollati proprio nei momenti topici. Caso vuole che proprio questa truppa di carneadi, con la complicità di un campionato anomalo in cui le varie rivali si eliminano rapidamente a vicenda dalla contesa, scriva la pagina di storia più attesa e desiderata: il terzo scudetto di un club che a breve probabilmente dovrà lavorare per blindare Spalletti ben oltre la semplice PEC partita dall'ufficio di De Laurentiis, il presidente per il quale non esistono insostituibili. Mai come stavolta però un'eccezione c'è ed è rappresentata da Spalletti, l'allenatore che ha reso possibile l'impossibile.

I giocatori

Va pur detto che anche il miglior allenatore senza giocatori validi è un'arma praticamente scarica. Se poi in rosa si trova un attaccante che la butta quasi sempre dentro, il grosso del lavoro è fatto: tra gli azzurri all'identikit corrisponde il profilo di Victor Osimhen, il 'bomber mascherato' che ha rappresentato l'anomalia per eccellenza della gestione De Laurentiis. Per una volta il patron non ha pescato dal calderone dei prospetti interessanti e poco costosi: a ricordare la brusca virata bastino gli 81 milioni complessivi di spesa che hanno a lungo fatto gridare al 'pacco'. In effetti l'avventura in azzurro del nigeriano, tra infortuni a raffica e qualche intemperanza caratteriale, non è partita sotto i migliori auspici prima dell'esplosione firmata Spalletti, che ha messo la sua mano anche sull'ambientamento invece lampo di Khvicha Kvaratskhelia, il cui impatto devastante con la Serie A ha ricordato quello di Kakà. Non solo la sinfonia di un tandem d'attacco quasi sempre letale in particolare nella prima parte della stagione: dietro lo scudetto del Napoli c'è il lavoro più oscuro ma forse ancora più importante di gregari di lusso come capitan Giovanni Di Lorenzo, Alex Meret e Amir Rrahmani. Parlando di difesa è impossibile non citare Kim Min-Jae, l'erede di Kalidou Koulibaly che in breve tempo ha blindato un reparto che nel recente passato aveva più volte tradito gli azzurri, che hanno avuto in Stanislav Lobotka il fulcro insostituibile del centrocampo: anche per lo slovacco, a lungo relegato in panchina, l'avvento di Spalletti si è rivelato cruciale. Impossibile però non citare i muscoli di André-Frank Zambo Anguissa, l'esperienza di Mario Rui e Piotr Zielinski, i superstiti della vecchia guardia e l'apporto dalla panchina di Giacomo Raspadori e Giovanni Simeone: per entrambi non molti gol ma tutti dal peso specifico non indifferente. Dell'ex Sassuolo tutti ricorderanno la rete che all'ultimo secondo ha steso a domicilio la Juventus: una vittoria non banale alla luce dell'avversario mai uguale agli altri e del momento della stagione (quello cruciale) in cui è arrivata. Poi c'è il Cholito, l'uomo che nel 2018, con la maglia della Fiorentina, spense i sogni di gloria del Napoli con una tripletta che spianò la strada alla fuga decisiva proprio della Juventus: quella stessa Fiorentina che domenica, al di là del risultato sul campo, assisterà alla festa grande di una piazza che stavolta di beniamini non ne ha uno solo.

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