Orsato, le ’scosse’ dell’ex-arbitro. "Il match che ricorderò per sempre? Quando scesi in campo con i figli. E quella promessa fatta a mamma...”
Da giovane voleva fare l’elettricista: i dubbi delle prime partite, poi il successo a livello internazionale. "Nel 2010 Collina mi chiese se sapessi l’inglese: studiai perché altrimenti mi avrebbero mandato a casa"
Roma, 13 settembre 2024 – Una passione nata quasi per caso ("Volevo fare l’elettricista, mi sono ritrovato con la divisa di arbitro.."), quei colleghi presi come modello da seguire ("Collina ebbe coraggio a darmi nuove chance anche quando sbagliavo"), le partite che non si dimenticano mai ("Quella volta che entrai in campo con i miei due figli...), l’ultima promessa fatta a mamma Mariateresa ("Volevo smettere dopo i Mondiali in Qatar, lei mi chiese di continuare e le dissi che avrei lasciato dopo gli Europei in Germania..."), i progetti per il futuro ("Portare la mia esperienza ai più giovani") e tanto altro.
L’altro volto di Daniele Orsato non è quello di un direttore di gara con lo sguardo severo e deciso a farsi rispettare che a 49 anni ha appeso il fischietto al chiodo (dopo 289 gare arbitrate in A), ma quello molto più “umano“ di una persona che spiega, ascolta, soprattutto racconta. Sfoggia un sorriso mentre riceve il premio alla carriera dai Panathlon di Milano e Brescia e poi apre lo scrigno dei segreti.
Prima domanda d’obbligo signor Orsato. Come si vive da ex arbitro lontano dai campi di gioco?
"Intanto è la prima volta che vengo etichettato come ex arbitro, e questo mi fa un certo effetto. Ma per fortuna il campo non mi manca e il calcio continuo a seguirlo in tv. La decisione era stata presa da tempo...".
Quando ha pensato che fosse il momento di dire basta?
"Avrei voluto smettere dopo il Mondiale in Qatar, poi la mia mamma Mariateresa mi convinse a proseguire, almeno fino all’Europeo. L’accontentai, dicendole però che sarebbe stato l’ultimo evento, ad una certa età ero andato oltre le mie aspettative e bisognava fare spazio per i giovani. Il mio dispiacere più grande è che lei è mancata una settimana prima del fischio d’inizio in Germania, ci teneva tanto a seguirmi nella mia ultima avventura. Ho nostalgia delle sue parole dopo una partita, mi faceva i “conti“ e mi diceva di sorridere di più".
L’accompagnava sui campi quando iniziò ad arbitrare?
"Quasi mai. Vide solo una partita di Terza Categoria e alla fine mi chiese perché continuassero ad insultare lei e non me. Sa, noi arbitri siamo abituati a tutto, le famiglie no. Io in un certo periodo ho avuto la scorta per accompagnare i miei figli a scuola. Le sembra normale?"
Certo che no. Adesso però i suoi figli potranno godersi il papà a casa...
"E’ così. Mio figlio di 14 anni aveva il timore che andassi al raduno di Cascia, ora potrò stare più tempo con la famiglia".
Passo indietro. Tutto cominciò nel...
"Giugno del 1992. Iniziai a lavorare. A 17 anni le prime partite da arbitro, anche se ero dubbioso e pensavo che fosse una cosa da “sfigati“. Poi nel 2006 la telefonata che ti cambia la vita: ’Pronto, sono Agnolin, sei stato promosso in serie A’. Non potevo crederci: ma come, uno come me, elettricista con diploma di terza media? Cominciai, anche facendo errori. Ma avevo già nuovi obiettivi".
Sì, la carriera internazionale...
"E lì rischiai grosso. Nel 2010 mi chiama Collina: come sei messo con l’inglese? Dissi che non lo sapevo. Mi misi a studiare, andai a Milano per comprarmi i libri, altrimenti dopo due anni mi avrebbero mandato a casa".
E invece ha diretto memorabili partite internazionali...
"Su tutte le quattro sfide fra Real Madrid e Manchester City, da poter raccontare ai miei figli che mi chiedevano come fosse da vicino Bellingham...".
I momenti più belli della sua carriera?
"Sarebbe semplice dire la finale Champions 2020 fra Psg e Bayern, ma era senza pubblico. E con quei campioni in campo l’arbitro quasi non serviva, fischiai pochissimo per merito dei giocatori. E invece il ricordo cui tengo è la gara numero 200 in serie A, un Chievo-Bologna in cui entrai in campo con i miei due figli. Poveri giocatori, non bastava un Orsato, eravamo addirittura in tre... (ride, ndr). E poi, sempre nel 2020, il premio in memoria di Stefano Farina. Con lui feci la mia prima partita all’estero, uomo straordinario".
Le è dispiaciuto non arbitrare la finale nell’ultimo Europeo?
"Anche gli azzurri volevano vincere l’Europeo, diciamo che anche noi come squadra italiana avevamo preparato tutto. Certo, ero dispiaciuto..."
Invece com’era il suo rapporto con il Var? Vero che toglie sicurezza agli arbitri?
"La prima volta mi chiesi a cosa saremmo andati incontro. Qualcuno diceva che ogni volta che venivo richiamato andavo quasi arrabbiato davanti al monitor, ma non è così. Io sono un sanguigno, uno che reagisce d’istinto, e in quei secondi mi chiedevo cosa mi fossi perso e me la prendevo con me stesso... Ma vi assicuro che col Var gli arbitri diventano ancora più forti. E bravi E ora andrà ancora meglio perché gli arbitri, anche in Italia, spiegheranno subito la motivazione della propria decisione dopo aver rivisto il Var. E i direttori di gara non rientrano più negli spogliatoi col dubbio di aver preso la decisione sbagliata".
E con giocatori e allenatori come andava?
"Rapporto più che buono. Sono le squadre ad avere un atteggiamento diverso, non gli arbitri. Nessuno di noi pensa di voler fischiare di più o di meno, è la partita che decide e l’arbitro si adatta. Conservo le maglie di Totti, Messi e Zanetti ma avevo un rapporto schietto, diretto e molto bello con Mihajlovic".
E adesso cosa farà Orsato da grande? Risulta che l’Aia non l’abbia contattata...
"Mi chiedono se stia pensando al ruolo di designatore, ma io devo restituire tutto ciò che ho avuto e mettere a disposizione dei ragazzi la mia esperienza. Sono pronto a fare formazione e ad aiutare i più giovani, se mi daranno la possibilità...".
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