Ex Roma, Tiago Pinto: "Roma è stata una grande sfida, Newcastle? Il mio futuro..."

Tiago Pinto racconta il proprio passato alla Roma e il suo futuro

di FILIPPO MONETTI -
12 marzo 2024
Tiago Pinto

Tiago Pinto

Londra 12 marzo 2023 - Si è congedato dalla Roma ormai da un mese, ma non c'è dubbio che le sue decisioni, nel bene e nel male, hanno regalato delle stagioni emozionanti ai tifosi giallorossi. Oggi Tiago Pinto è disoccupato e si gode il sole dalla sua stanza di albergo in attesa di conoscere il proprio lavoro. Una pausa che ha permesso al dirigente portoghese di raccontare il proprio passato alla Roma ai colleghi inglesi del portale di iNews e anche i suoi piani per il futuro. Ecco le sue parole

"Quando ho lasciato la Roma - ha raccontato Tiago Pinto - ci ho pensato molto e sentivo che era il momento giusto. Era la fine di un ciclo, ma quando ho preso la mia decisione, tutti quelli a me vicini hanno detto che conoscendomi, non credevano sarei stato in pace dopo due settimane. Credo avessero ragione…". Il dirigente ha infatti racontato della sua esperienza in giallorosso come una "grande sfida", dopo aver raggiunto stabilità e successo nel Benfica, club tifato da lui e dalla famiglia. Non è casuale che Pinto abbia ricordato i suoi tempi a Lisbona con la molta pressione che ha sentito dall'ambiente, in cui però ha raggiunto il successo che lo ha poi portato nella Capitale.

Una prima volta per il tecnico da disoccupato, che racconta di avere avuto una storia unica con il mondo del calcio: "Il mio percorso nel calcio è molto diverso da quello della maggior parte delle persone. Ho studiato economia e pedagogia all'università e poi ho gestito questi cinque club, tutti con rose e culture diverse. Così ho imparato tanto".

Una delle ragioni che hanno portato all'intervista è l'interesse ormai non nascosto nel Newcastle United, con i Magpies che starebbero pensando a lui per il ruolo di direttore del progetto tecnico della squadra. Ecco le considerazioni di Tiago Pinto sulla presenza o meno delle gazze della Premier League nel proprio futuro: "Se un grande club come il Newcastle vuole parlarti, sei chiaramente interessato. Conosco molto bene la storia del club perché Sir Bobby Robson era famoso in Portogallo ed è sempre stato associato al Newcastle e io ho seguito il club per quel motivo. La nuova proprietà ha svolto u lavoro impressionante fin qui, ha avuto una strategia intelligente per uscire dalla lotta retrocessione, passando a lottare per la Champions League, perciò c'è grande potenziale al Newcastle. Non so se l’interesse sia vero o no, ma chi rifiuterebbe un progetto del genere?".

Il dirigente portoghese ha fatto anche una digressione su quello che è il suo metodo di lavoro, lo stesso che ha portato alla Roma. Dove non ha la necessità di affidarsi a propri uomini di fiducia, cancellando quanto costruito prima. Il segreto dice lui è che "in un club è meglio se c'è un ambiente pacifico, con tutti sulla stessa lunghezza d'onda", Pinto però non è disposto a mediare su tutto, infatti afferma di "avere tre o quattro punti cardine della sua strategia sportiva. Il primo sono sicuramente le giovanili, a cui mi dedico per tanto tempo e con tanta energia".

Tiago Pinto ha poi aperto il lungo capitolo relativo al suo rapporto con José Mourinho. "Non fraintendetemi - ha esordito il dirigente portoghese - quando lavori con un uomo con un profilo così importante, è impegnativo. Lui è esigente perché ha standard elevati, derivati dai suoi successi. Io sono portoghese e ho iniziato a lavorare con lui quando avevo 36 anni. Per un giovane direttore sportivo lavorare normalmente con Mourinho, è impossibile. Ho imparato molto da lui. È uno degli allenatori più importanti della storia di questo sport. Il calcio come ogni cosa è ciclico. A volte sei d'accordo, a volte no, ma nessuno può minimizzare il grande impatto che ha avuto alla Roma".

Tiago Pinto ha insistito a parlare dello Special One, senza risparmiare i complimenti al suo lavoro svolto in giallorosso: "Ciò che ti colpisce davvero ogni giorno è ciò che significa per le persone. Non importa se dove tu sia, ciò che José significa per le persone è qualcosa di straordinario. Ci sono allenatori che hanno vinto tanto o anche più di lui, ma è difficile trovare qualcuno che tocchi il cuore della gente come lui. Ecco un piccolo esempio. Un giorno giocavamo a Sofia in Bulgaria nella Conference League, la partita era a novembre e il tempo era terribile. Nevicava, faceva davvero molto freddo. Vincevamo 3-0 ma alla fine abbiamo vinto 3-2, è stata una partita molto brutta. Abbiamo vinto ma eravamo di cattivo umore. Tutti vogliono farsi una doccia, prendere un autobus e andare all'aeroporto. Nevicava, era mezzanotte e quando è uscito dallo stadio e io lo guardavo aveva fatto 50 metri fino al punto dove c'erano 100 o 200 persone che gridavano per lui. È andato lì, ha fatto foto, ha fatto autografi. Ero sull'autobus a guardarlo e ho pensato: questo uomo ha vinto 25 titoli, è incazzato per la partite, tutti sono congelati e si sta prendendo 15 minuti per fare questa cosa. Sembra un piccolo dettaglio, ma alla fine lavoriamo per le persone. La cosa più speciale di Mourinho è il modo in cui lavora con le persone, la reazione che provoca in loro".

Dal rapporto con Mourinho al calciomercato, l'ex uomo mercato romanista ha parlato della sua gestione del calciomercato, facendo anche riferimenti alla Roma. "Bisogna essere chiari con le persone. Il denaro e i contratti contano moltissimo, ma cerco di gestirne il lato emotivo perché ci sono molti sentimenti nel calcio. A volte anche solo il numero di maglia può fare la differenza. Quando abbiamo ingaggiato Tammy Abraham lui era vicino a firmare per altri club, ma ci siamo assicurati che la prima volta che lo abbiamo incontrato avessimo una maglietta con il suo nome e il numero che avrebbe indossato con noi. Forse questo significava qualcosa per lui. Io cerco di essere metodico. Non sono il tipo che chiama tutti dicendo potrei essere interessato al tuo giocatore e lavora su molti altri tavoli. Un agente mi ha detto: sei l'unico direttore sportivo che conosco che mi dice subito che non ti interessa".

L'intervista si è conclusa con una parentesi sul Fair Play Finanziario, che nelle ultime stagioni gli ha messo paletti importanti al lavoro con la Roma. "Per me il FFP non è un nemico. Ti influenza il lavoro, ma non è un ostacolo. Dobbiamo guardarlo a livello globale. Per proteggere il business servono regole e sostenibilità. Credo in questi principi perché credo che dobbiamo spendere meno di quanto generiamo. Per me come direttore sportivo è un buon punto di partenza. Non sono contrario. Penso che come strumento possa aiutare il calcio a essere più sostenibile in futuro. Queste regole ti spingono a cambiare il ruolo di direttore sportivo. Se dieci anni fa guardavi al direttore sportivo come a quello che vede le partite, seleziona i giocatori, fa i trasferimenti e basta. Al giorno d’oggi è completamente diverso. Devi essere consapevole delle normative, così da sederti allo stesso tavolo dei ragazzi della finanza e degli avvocati capendo tutto, altrimenti sarà difficile lavorare. Penso che il FFP sia necessario, è qualcosa che non possiamo evitare. Stimola la creatività, il lavoro di squadra all’interno del club perché è necessario lavorare con figure diverse per arrivare all’accordo transattivo. Ho imparato dal mio primo presidente al Benfica. Ero molto emozionato quando chiudevamo un accordo. Ma lui mi diceva se chiudessimo l’affare, vuol dire che potevamo fare meglio. Voleva dire che nel momento in cui si chiude l’affare, anche l’altra parte è felice e questa non è una buona cosa. Puoi sempre ottenere un po’ di più, fare un po’ meglio. Penso che sia un buon modo di vedere le cose".

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