Supercoppa all’estero, così l’identità è in saldo

La manifestazione si trasferisce in Arabia, ma restano i dubbi: ha davvero senso?

di LEO TURRINI -
11 ottobre 2023
L'Inter è una delle finaliste della Supercoppa italiana (Ansa)

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Premessa. Sulla faccia del pianeta, i diritti umani e civili vengono rispettati soltanto – se va bene! – in un terzo delle nazioni. E questo spiega perché lo sport, in quanto globale per natura sua, abbia affidato gli ultimi Mondiali di calcio a Paesi come la Russia e il Qatar o perché la Formula Uno se ne vada a zonzo tra Arabia Saudita e Abu Dhabi o perché Pechino sia l’unica capitale ad avere ospitato sia l’Olimpiade estiva che quella invernale.

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Come mi capita spesso di scrivere, a costo di annoiare i miei quattro lettori, qui non si tratta di sciogliere inni alla ingenuità. Il denaro non dorme mai, lo show business ha i suoi costi, i campioni e le campionesse non si esibiscono gratis e infine c’è anche chi coltiva la tenera speranza che gli avvenimenti “popolari” possano favorire l’evoluzione di usi e costumi da parte di governi dichiaratamente illiberali (tra parentesi: io non ci credo. O meglio, non ci credo più).

Però,ci sarebbe un però. Quando parliamo della nostra Supercoppa di calcio, ci riferiamo esclusivamente ad un evento tricolore.

Solo nostro. Solo italiano. Ha senso, per raccattare un po’ di petrodollari, portare Napoli, Inter, Fiorentina e Lazio nel deserto degli sceicchi? Lo so, è già stato fatto e gli spagnoli fanno altrettanto.

Eppure, insisto. Ha senso? Forse che lo stadio di Firenze o di Napoli non si riempirebbe per le due semifinali e la finale? E i diritti televisivi diminuirebbero sul serio? Ancora: ai tifosi che ancora preferirebbero godersi la partito dal vivo, pensa mai qualcuno? Che prezzo ha la passione? A quando una intera giornata di serie B nell’assolato Dubai?

Temo che la verità sia malinconicamente semplice. È vero, con i soldi tutto si compra. Purché ci sia chi è disposto a vendersi. E in Italia c’è la fila.

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