Zagallo, il professore dei trionfi. Addio alla leggenda del Brasile. In campo con Pelé, poi ct illuminato. La Seleçao governata col sorriso

Aveva 92 anni, da calciatore fu campione nel mondo nel 1958 e nel 1962, poi nel 1970 la vittoria in panchina. Per la nazionale era un amuleto irrinunciabile: da vice il quarto successo nel 1994, la delusione in Francia .

di GIUSEPPE TASSI -
7 gennaio 2024
Addio alla leggenda del Brasile. In campo con Pelé, poi ct illuminato. La Seleçao governata col sorriso

Addio alla leggenda del Brasile. In campo con Pelé, poi ct illuminato. La Seleçao governata col sorriso

Vavà, Didì, Pelé. Nelle celebre canzonetta dei Cetra, anno 1958, lui non c’era. Eppure Mario Zagallo era l’appendice naturale di quel magico trio di “giocolier di cioccolata” celebrati dal quartetto musicale italiano.

Zagallo, morto ieri a 92 anni, giocava all’ala ma era nato centrocampista. Lo chiamavano ‘formiguinha’ per quel fisico sottile e per l’operosità che spendeva in campo. Nel Brasile due volte campione del mondo (Svezia ‘58 e Cile ‘62) Mario era una presenza fissa, quasi un’ala tattica ante-litteram capace di inventare calcio e aiutare il lavoro del centrocampo. Quella squadra di irripetibili campioni era la favola bella del pallone e Zagallo chiudeva degnamente la filastrocca dell’undici titolare.

Escluso dai convocati per i mondiali inglesi del ‘66, Mario decide di usare la sua ricca esperienza calcistica vestendo i panni dell’allenatore. E presto diventa un idolo, un talismano del Brasile, un generale venerato e vittorioso. Da ct vince i mondiali del ‘70, battendo in finale l’Italia di Valcareggi e nel ‘ 94 è di nuovo campione del mondo, come direttore tecnico di Parreira, e questa volta a farne le spese è l’Italia di Sacchi e Baggio nella finale del Rose Bowl di Pasadena. Nel mezzo il quarto posto di Germania 1974 e come appendice il secondo posto di Francia 1998, con il calvario di Ronaldo il Fenomeno, e un rocambolesco ritorno nel 2006 quando già ha annunciato l’addio al calcio.

Per cinque volte nella sua storia l’amuleto Zagallo entra ed esce dal ruolo di ct verdeoro. Perché il suo spirito libero di apolide lo porta a tentare mille esperienze. Nato da famiglia libanese (cognome originario Zakour) , padrone della lingua araba, ex seminarista e sorridente apostolo del pallone, Mario è tra i primi tecnici ad esplorare l’universo calcistico mediorientale, guidando in tempi successivi Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, un vero precursore, un anticipatore del mondo di oggi.

Ma la leggenda di Zagallo resta legata ai quattro titoli mondiali vinti con il Brasile (due da giocatore e due da allenatore), un primato difficile da battere. Al mondiale francese del ‘98 lo chiamavano il Professore, lo consideravano un maestro, un autentico profeta del calcio. Eppure lui non saliva mai in cattedra. Col suo passo lento e cadenzato, i capelli bianchi e il volto segnato da una vecchiaia precoce, Zagallo non mancava mai un allenamento, anche se aveva una squadra di preparatori per seguire la Selecao.

I giornalisti brasiliani lo chiamavano concitati "Ven a transena, Zagallo" (la barriera posta fra cronisti e giocatori) e lui arrivava con gli occhialini e la battuta pronta a fronteggiare le domande della stampa. Non si alterava mai, risolveva ogni quesito con un sorriso sornione. Sapeva di essere la storia del calcio e l’amuleto vivente di un popolo che vive di pallone.

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