Le pagelle del Giro d’Italia 2024: anche l’Italia può sorridere. Zero a chi critica Pogacar
Dietro l'immenso sloveno gli azzurri vincono sei tappe e mostrano facce nuove come Tiberi, Piganzoli e Pellizzari. Quintana e Bardet le delusioni
Roma, 26 maggio 2024 – Il Giro d’Italia 2024 si è concluso all’insegna dello strapotere di Tadej Pogacar. Ma nel cielo si aprono squarci d’azzurro. Ecco i voti di Angelo Costa
10 (100? 1000?…) a TADEJ POGACAR
Vince alla Merckx, vince quanto Merckx: 6 tappe al primo giro, come il Cannibale. In questa stagione, in 31 giorni di corsa, ha vinto 14 volte, con Strade Bianche, Liegi e Giro, dove fa anche l’apripista in volata e regala gesti memorabili: la borraccia regalata al bimbo che gli corre accanto in salita è già leggenda.
9 a DAVIDE CASSANI
E’ il ritorno dell’anno, l’uomo in più della squadra Rai. Puntuale, preciso, attento, ha sempre l’occhio sulla corsa per cogliere ciò che sta per accadere. Della sua verve beneficia anche Pancani che gli sta accanto. Ne avrebbero bisogno pure altre trasmissioni, ma non è che l’ex ct possa risolvere i problemi di tutti.
9 all’ITALIA DEL QUARTETTO
Vedi alla voce Milan, che vince tre tappe e ne chiude quattro al secondo posto, vedi anche alla voce Pippo Ganna, che perde una crono da Pogacar per via della salitona finale poi vince quella più adatta a lui sul Garda. Curioso anche questo paradosso: il Paese senza un velodromo non solo comanda in pista, ma fa la voce grossa anche su strada.
9 a TIM MERLIER
Zitto zitto si porta a casa tre tappe, castigando gli errori di Milan o approfittando delle sue disavventure. Mai aveva fatto il bis in un grande giro, stavolta firma addirittura un tris, mostrando forza e mestiere: diventa così l’altro velocista di una corsa dove di signori della velocità se ne sono visti pochi.
8 al GIRO
Non un giorno noioso, evidentemente la formula con meno altimetria e tappe corte ha pagato. Buono anche il disegno del percorso, che ha evitato giornate scontate: gli stessi velocisti se la sono dovuta sempre sudare. Che poi metà del lavoro l’abbia fatto Pogacar con la sua (onni)presenza è un altro discorso.
8 a DANI MARTINEZ
Sale sul podio grazie alla regolarità e non all’irruenza, badando soprattutto a non buttarsi via. Come tutti, capisce in fretta che è meglio non stuzzicare Pogacar, preoccupandosi di mantenere la posizione almeno fino a quando lo sloveno non decolla: strategia che lo premia col miglior risultato possibile.
8 a GERAINT THOMAS
A 38 anni conferma il podio di un anno fa, anche lui correndo in difesa, senza provare mai l’attacco, recuperando col proprio passo le accelerazioni altrui. L’unico brivido lo regala a se stesso, andando in terra per distrazione a sei chilometri dal traguardo di Sappada: gli altri lo aspettano, come si fa con chi ha una certa età…
8 a ANTONIO TIBERI
Chiude nei primi cinque il Giro dell’esordio, rimpiangendo il podio, perso per i i guai meccanici che lo hanno frenato a Oropa il secondo giorno. Bene nelle crono, tenace in salita, bravo a medicare una mezza giornata di crisi, gli manca il guizzo finale: ma come prima volta da uomo di classifica è fin troppo buona.
7,5 a JULIAN ALAPHILIPPE
Debuttante al Giro, non si limita a vincere una tappa, ma dà spettacolo ogni volta che può. E’ una sorta di Pogacar nelle giornate che più gli si addicono, a volte anche in quelle che gli si addicono meno: stessa fantasia, stesso divertimento, di diverso c’è solo il peso dell’età sulle gambe.
7 alla GIOVANE ITALIA
Davide Piganzoli, anni 21, chiude al tredicesimo posto il primo Giro, facendosi trovare pronto nelle tappe impegnative. Giulio Pellizzari, anni 20, resta un paio di volte con Pogacar, sfiorando anche il successo di tappa. Dei due, uno continuerà a crescere in Italia, l’altro andrà all’estero, dove purtroppo i baby italiani più che potersi esprimere devono faticare per gli altri.
7 a ANDREA VENDRAME
Arrotonda il conto azzurro con una fuga da lontano, buttandosi in discesa, lasciando per strada gente come Alaphilippe, Steinhauser, Sanchez e Narvaez che una tappa l’aveva già vinta. Già vincitore nel 2021, grazie a una squadra pimpante (Decathlon, voto 8) sbuca da un periodo di digiuno che non ha offuscato le sue qualità di attaccante.
7 ai TEAM ITALIANI
Sia la Vf Group Bardiani Csf Faizanè di Reverberi che la Polti Kometa di Ivan Basso onorano la corsa muovendosi tutti i giorni: una con Fiorelli, Tonelli e Covili (finito nei primi venti in classifica: voto 7), l’altra con Pietrobon e soprattutto Mirco Maestri, un esempio di combattività che fa crescere l’intera squadra.
7 alle FACCE NUOVE
Non solo Pogacar: scendendo di un piano, è anche il Giro del figlio d’arte Steinhauser, una tappa vinta e due all’attacco, dello spagnolo Pelayo Sanchez, idem come sopra, di Valentin Paret Peintre, che seguendo il fratellone come un’ombra fa il primo centro in carriera. Guardare le carte d’identità, please: giovani ciclisti crescono (anche all’estero).
5 alle FACCE VECCHIE
Annunciato in grande spolvero, Bardet si spegne in fretta: chiude nella top ten, ma di lui ci accorge soltanto quando va in fuga e viene rimpallato. Annunciato in rampa di rilancio, Quintana si smarrisce per strada quasi subito: si fa notare a Livigno, per il secondo posto alle spalle di Pogacar, ma per conquistarlo si era messo al lavoro qualche ora prima. Quanto al velocista Ewan, non pervenuto.
3 alle PROTESTE
Immancabili, i sindacalisti della bici scendono in piazza con il maltempo e non quando mezza squadra (la Israel) se ne va a casa a Lucca schiantandosi contro uno spartitraffico nel finale. Peccato che a Livigno l’accordo raggiunto con gli organizzatori venga rifiutato dai ciclisti. Confermato: dopo Morbegno e Crans Montana in passato, al Giro continua a piovere sul bagnato.
2 al CERIMONIALE FINALE
Nell’anno in cui finalmente si copia qualcosa dal Tour, piazzando il palco davanti al Colosseo, la macchina organizzativa si inceppa nel momento chiave, la consegna del trofeo Senza Fine: Pogacar resta da solo sul palco, a braccia allargate, in attesa che arrivi la premier Meloni per la premiazione. Si può decisamente far meglio.
0 AI CRITICI DI POGACAR
Si annidano sul palco del Processo Rai, fra i corridori di qualche generazione fa, nei cultori di un ciclismo datato: dal primo giorno in rosa tutti a dire che lo sloveno spreca troppe energie, che non lasciando niente agli altri si fa nemici, che rischia troppo. Curiosamente sono gli stessi che davanti al primo esemplare di Cannibale (Merckx, appunto), ne restavano incantati.
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