Favoriti Tour de France 2023, la griglia di partenza: Vingegaard in pole, Pogacar lo sfidante
Il corridore danese va a caccia del bis, il primo rivale è lo sloveno tornato alle gare dopo 2 mesi di stop. Skjelmose possibile sorpresa
Roma, 29 giugno 2023 – Poca Italia: appena sette i nostri corridori al via, il minimo storico da quarant’anni in qua. Poca cronometro, ventidue chilometri soltanto: tutti concentrati in una tappa, non da specialisti puri, perché il finale è all’insù. E tanta montagna, tantissima: trenta colli da scalare, sei arrivi in salita.
Facile dire che è un Tour d’alta quota: vincerà chi è bravo ad arrampicarsi. Si comincia da Bilbao, nei Paesi Baschi, seconda di tre partenze consecutive dall’estero dopo quella in Danimarca un anno fa: la prossima sarà in Italia, a Firenze.
Pirenei già nella prima settimana col Tourmalet, poi l’ascesa finale al mitico vulcano spento del Puy de Dome, quindi le Alpi con la tappa che a Couchevel ricorda l’ultima vittoria di Pantani, infine i Vosgi, con una frazione corta che in 133 chilometri concentra sei salite, il giorno prima della passerella sui Campi Elisi. A parte l’iridato Evenepoel, Roglic e Thomas visti al Giro, le altre grandi firme ci sono tutte: a tener alto l’onore del tricolore proveranno Bettiol, Ciccone, Guarnieri, Moscon, Mozzato, Oss e Trentin, buoni per il successo di tappa.
In pole
Jonas Vingegaard. Ha corso due Tour: secondo nel primo, primo nel secondo. Ha studiato da cannibale: in 25 giorni di gare, si è imposto dodici volte. Ha accanto una squadra fortissima: uno come Van Aert ad aiutare non ce l’ha nessuno. Ha a disposizione un percorso perfetto per le sue caratteristiche: in salita, difficilmente uno così lo stacchi.
Prima fila
Tadej Pogacar. Ha corso tre Tour: i primi due li ha vinti, l’ultimo l’ha chiuso alle spalle di Vingegaard, pagando qualche errore. Difficilmente sbaglia due volte in fila: è la sua forza. La sua debolezza potrebbe essere non aver corso negli ultimi due mesi per la frattura al polso, dopo una primavera fantastica: gli stop pesano per tutti, per lui un po’ meno.
Mattias Skjelmose. Non ha mai corso il Tour: di grandi corse a tappe ha affrontato solo il Giro. Ha appena vinto giro di Svizzera e campionato nazionale: sta benone, insomma. Ha l’entusiasmo di chi, a 22 anni, comincia a capire che razza di potenziale abbia a disposizione. Si presenta in Francia a cuor leggero e questa potrebbe rivelarsi l’arma in più.
Seconda fila
David Gaudu. Uomo di montagna, ha davanti lo spartito più adatto. Ha il vantaggio di essersi sempre migliorato sulle strade di casa, ha lo svantaggio di non aver mai lottato per un risultato di prestigio. È il più serio candidato a interrompere il digiuno francese al Tour che dura da 38 anni: tra il dire e il fare, il passo che serve è il più lungo.
Egan Bernal. Ha vinto un Tour e un Giro, nella sua vita precedente. In questa, iniziata dopo un anno di stop e mille guai, deve ancora dare un segnale forte. Classe e talento non si discutono, ora gli tocca l’esame più difficile: dimostrare di essere ancora da corsa sulle salite che l’hanno reso grande.
Terza fila
Romain Bardet. Ha più esperienza di tutti: a 32 anni, conosce a memoria la corsa. Ha anche più risultati di tanti altri: mai fuori dai quindici, sei volte su otto è finito nei primi dieci, salendo due volte sul podio. Ha pure il terreno ideale per fare il salto che gli si chiede: dimostrare di non essere soltanto un piazzato, ma anche un vincente.
Enric Mas. Una volta quarto, un’altra quinto, sembra sempre che per lui sia l’anno buono, almeno fino a quando non lo diventa il prossimo. Ha il pregio di andar forte in salita, ha il difetto di aspettare troppo prima di lanciarsi all’attacco, un po’ come il suo maestro Valverde, che ora non ha più accanto: un buon motivo per provare a volare da solo.
Quarta fila
Richard Carapaz. Se ha corso dieci grandi giri in carriera e ne hai conclusi la metà sul podio, significa che questo è il tuo territorio. Se non mandi buoni segnali di salute prima del Tour, vuol dire che forse non sei pronto per il livello che ti attende. Mai fidarsi dell’ecuadoriano, che in una corsa dove si sale spesso in alta quota resta fra quelli da trattare con un occhio di riguardo.
Mikel Landa. Promettendo di vincere prima o poi un grande giro, è già arrivato a 33 anni: di occasioni non gliene restano tante. Questa è ghiotta, oltre che ricca di stimoli: parte dai suoi Paesi Baschi, ha tanta montagna e poca cronometro. A lui chiarire se il tanto sbandierato ‘landismo’ sia davvero una filosofia di gara o soltanto il modo per sottolineare una delusione.
Outsiders
Ben O’ Connor. Anche l’arrampicatore australiano è di quelli che su un percorso così può fare bene, se non benissimo: a patto che non faccia come quelli ai quali basta una sola giornata storta per buttar via una classifica intera.
Jai Hindley. Alla prima campagna di Francia, l’australiano che ha già vinto il Giro prova a dimostrarsi buono anche per il Tour. Non sono certo le salite a spaventarlo, l’incognita è scoprire come si adatterà al caldo che le renderà più dure.
Simon Yates. Non è certo al livello dei più forti, ma può sempre dire la sua. Dovrà anche dire se è soltanto uomo da prime due settimane, oppure se è buono anche per la terza: forse per questo ha pensato più ad allenarsi che a correre.
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