"La mia vita in gioco..."

Carobbio: "Ragazzi attenti, non fate stupidate come me" .

di GIULIO MOLA
29 novembre 2023

"La mia vita in gioco..."

Ha sbagliato. Ha pianto. Ha pagato. E soprattutto si è pentito. Perciò oggi Filippo Carobbio da Alzano Lombardo, 44 anni, molti dei quali trascorsi sui campi in erba prima da calciatore professionista (36 presenze in A) e ora da allenatore, può camminare a testa altissima. E guardare negli occhi i suoi figli, ai quali un giorno ha voluto raccontare perché all’alba del 19 dicembre del 2011 fu prelevato dalle forze dell’ordine e portato in carcere nell’ambito dell’inchiesta Last Bet sul calcioscommesse delle Procure di Cremona e Bari.

Quei nove giorni passati dietro le sbarre, quel rimorso per l’errore commesso, quella voglia di ricominciare per ripulirsi la coscienza, “Pippo“ ha voluto raccontarli mettendoci la faccia durante la conviviale del Panathlon di Milano allo Sporting Club di Segrate. “Vite in gioco“ era il titolo della serata in cui, partendo dagli ultimi eventi che hanno coinvolto giovani campioni delle nostre Nazionali come Tonali e Fagioli, si è parlato di calcio e scommesse a trecentosessanta gradi, grazie anche ai contributi dell’avvocato di diritto sportivo Guido Camera, del Direttore Afffari Istituzionali di Sisal Giovanni Emilio Maggi e del presidente del CRL Lombardia Sergio Pedrazzini il quale ha ricordato che "nella nostra regione ci sono 184mila tesserati, per la maggior parte minorenni - sottolineando come - l’impegno sociale dello sport non possa essere dimenticato e demandato. Men che meno emendato nell’interesse di economico dell’illegalità".

Ma l’attenzione dei soci panathleti erano soprattutto per Carobbio, che ha riavvolto il nastro della sua vita ripercorrendo tappe drammatiche che nel tempo lo hanno profondamente cambiato. Aveva occhi lucidi Pippo quando ha ricordato quel maledetto calvario: "Sapevo di aver sbagliato, pensavo però fosse solo una cazzata. Ma quando ho passato il Natale del 2011 in carcere ho capito la gravità del mio errore. La linea è sottile, come quando usi il cellulare mentre guidi: se non succede niente hai fatto uno stupidata, se investi una persona e la uccidi diventa un omicidio". La cosa peggiore era il senso di smarrimento e la paura per la lontananza dagli affetti. E da quel figlio, oggi quindicenne, cui ha dovuto spiegare che il papà non era finito in carcere per aver detto parolacce all’arbitro o per un grande cartellino rosso, ma per qualcosa di molto più grave. "Era giusto che sapesse, che capisse, che mi rimproverasse e che mi perdonasse. Quando ho aperto la porta di casa in piena notte e quel poliziotto mi notificò l’arresto, ho capito che era finito tutto, che non sarei più tornato a giocare tra i professionisti. Ma soprattutto dissi a me stesso che avrei dovuto raccontare la verità. Alla mia famiglia e ai giudici". Non a caso Carobbio è stato ritenuto il pentito più credibile. "Qualcuno potrà dire che non sono stato un bravo calciatore o che che non sono un bravo allenatore, ma nessuno potrà mai accusarmi di non essere un bravo papà. I miei figli dovranno essere orgogliosi di me per quello che ho fatto dopo l’arresto, anche se ho prima ho sbagliato. Purtroppo mi sono sentito abbandonato dal mio ambiente, quello del calcio professionistico. Se non avessi confessato, coinvolgendo altri colleghi (in “primis“ il suo ex allenatore Antonio Conte) non sarei stato considerato un “infame“. Per fortuna ho avuto un’altra chance, nel calcio che più mi piace: prima allenando i ragazzini, poi squadre di serie D (Brusaporto, Ciliverghe e ora RG Ticino). E soprattutto un gruppo di disabili. Perché è giusto che ora debba aiutare gli altri". Un racconto da uomo vero, per questo il Presidente del Panathlon Milano, Filippo Grassia, ringraziando Carobbio per la sua testimonianza, ha detto: "Proporremo la tua nomination per il premio fair play"

Chiosa finale con un consiglio per non cadere nella trappola dei guadagni facili. "Le scommesse illegali nel calcio - continua Carobbio - sono una piaga diffusa, a livelli inimmaginabili. Che va combattuta dal basso, formando e informando i giovani, rendendoli consapevoli dei pericoli. Bisogna andare nelle società per parlare di questo fenomeno e far capire ai ragazzi di quanto sia pericoloso farsi coinvolgere e quanto sia difficile poi uscire da questo tipo di vizi che possono diventare poi problemi più grandi". E ancora: "Bisogna stare sempre attenti e non sottovalutare nulla. Il confine tra una leggerezza e una cosa molto più grave è davvero sottile. Dico sempre ai ragazzi della mia accademia che non vale la pena commettere certi errori perché le conseguenze sono sempre pesanti e irrimediabili. Il pericolo è dietro l’angolo, quindi è fondamentale stare con le persone giuste e ascoltarle, pronti a fare un passo indietro quando ci si trova al momento sbagliato nel posto sbagliato".

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