Quando il Prato giocava in serie B. Tuffo negli anni d’oro di Baldassini

Quella di sessant’anni fa fu l’ultima stagione nella serie cadetta. Storia dell’imprenditore-presidente

28 settembre 2023
Quando il Prato giocava in serie B. Tuffo negli anni d’oro di Baldassini

Quando il Prato giocava in serie B. Tuffo negli anni d’oro di Baldassini

Era la stagione 1963-64, sessant’anni fa a settembre inoltrato, quando Dino Baldassini, che a 14 anni aveva cominciato a lavorare come operaio alla cementizia Marchino a La Macine, assumeva la presidenza del Prato con vicepresidenti Oliviero Capponcelli, Armando e Franco Franchi. Fu l’ultima stagione in serie B per un Prato che vi aveva soggiornato già negli anni ’60-’61 e ’61-62 per poi affrontare il calvario delle serie minori. Allenatori prima Ferrero, fino all’undicesima giornata, e poi Dino Ballacci. Dino Baldassini, il figlio di contadini nato in quel di Tizzana a Pistoia, che dalla cementizia era passato come operaio alla dipendenza della ditta Pecci e poi imprenditore in proprio, si trovò a dirigere nel Prato il gota dell’Unione industriali che gli affidò come dirigenti collaboratori personaggi quali Mario Ciabatti, Felice Guarducci, Romeo Godi, Luigi Pacini, Enrico Pecci, Sergio Petracchi, Alfio Razzoli, Fosco Rosi, Faliero Sarti, Averardo Vannucchi.

I tempi di Baldassini: quelli di personaggi con la quinta elementare che creavano la storia di Prato. I giocatori: gente tosta come il futuro nazionale Roberto Boninsegna, Piero Lenzi, Romano Taccola, Fernando Veneranda in compagnia dei pratesissimi Vincenzo De Dura, Riccardo Moradei, Paolo Naviragni, Italo Rizza, cui si aggiunse negli anni successivi Palmiro Faltoni da Narnali, chiamato dal lavoro di fabbrica di Baldassini al ruolo di centravanti. "Venimmo a cercare fortuna a Prato dalla Valdichiana dove lavoravamo la terra e mio padre macellava i maiali come norcino – mi diceva Palmiro – Mi aveva osservato Baldassini nella Galcianese dove giocavo abusivamente perché avevo solo sedici anni e poi nelle giovanili della sua società. Mi si avvicinò mentre sfoderavo velocemente per guadagnarmi il pane: fallo bastare fino a sabato – mi disse – a me servi più come calciatore. Prendevo 105.000 lire al mese che ti davano da vivere quando la lira valeva qualcosa, me ne propose 95.000 come attaccante di prima squadra e vitto e alloggio nel villino di via Firenze. Accettai di corsa. Ogni volta che allentavo un po’ la morsa sentivo il vocione di Baldassini dalla tribuna: ‘Palmiro le saie’. Ad ammonirmi che mi avrebbe rispedito in fabbrica se non davo l’anima".

Non ce n’era bisogno. Palmiro finì anche nella selezione nazionale di categoria dove come compagno di camera a Coverciano aveva tal Marcello Lippi, amico e coetaneo (anche lui del 1948). La stagione 1963-64 si concluse col Prato che, vincitore per uno a zero a tre minuti dalla fine a Potenza, fu condannato alla C da un’autorete di Prini e fermato sullo 0-0 nella partita interna con la Triestina. In quel campionato per la prima volta un giocatore di una squadra retrocessa, Romano Taccola, vinse la classifica marcatori con 18 reti. Era il Prato di tutti, lo stadio traboccava di gente che ritrovavi ai mitici bar La Posta e Continental di via Garibaldi, sotto alla sede del Prato, dove c’era il raduno stabile degli sportivi. Dove Mario Ciampi, mitico talent scout, aveva instaurato l’università del football. Nelle strade del centro un viavai che ci parea l’esercito, i piccioni a far festa sulla testa del triumviro Mazzoni, il vestito buono della festa, lo struscio nel Corso dopo la messa delle undici, mentre il contrappasso di un’umanità feroce ci trasferiva dall’epopea del calcio alla tragedia del figlio Piero rapito e poi ucciso. Baldassini incanutito e stanco si arrendeva dopo tante battaglie nel luglio 2002, per farsi raccontare nell’aldilà dal figlio Piero i retroscena del male.

Roberto Baldi

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