Claudio Pistolesi, il tennista che visse tre volte si racconta in un libro

Giocatore, coach, allevatore di talenti, "C'era una volta il (mio) tennis" scritto dall'ex azzurro di Davis e un'avventura negli anni ruggenti della racchetta

di PAOLO FRANCI
9 novembre 2023
Claudio Pistolesi con un giovanissimo Simone Bolelli

Claudio Pistolesi con un giovanissimo Simone Bolelli

L'uomo che visse tre volte. E continua a vivere con una racchetta in mano e un'altra tatuata sul cuore. Sì perché, come scrive Adriano Panatta, firma della prefazione del libro dal titolo alla Sergio Leone “C'era una volta il (mio) tennis”, vita e opere di Claudio Pistolesi, un pezzo unico del tennis mondiale: "Claudio ne ha viste tante di cose che meritano di essere narrate. In un dopo cena, in un incontro tra amici. In un libro… Messe tutte insieme, queste piccole storie si legano fra di loro e fanno il tennis. Perché tanti sono i personaggi con cui Claudio ha avuto a che fare, come avversario, come amico, come coach. Non credo vi siano molti come lui, nel tennis odierno. Di sicuro non ce ne sono in Italia. Gente capace di unire a una carriera importante sul campo da gioco, una seconda carriera da coach di alto bordo, e poi ancora una terza, più matura, da rappresentante di un’intera categoria...”

E già, prima giocatore del circuito negli anni '80/90 fino ad arrivare al numero 71 del ranking. Un altro ranking, mica come questo, figlio di mille tornei che se ne imbrocchi un paio ti ritrovi numero 30 del mondo. Poi coach, ma di quelli con due “C” maiuscole: da Monica Seles che con lui è diventata numero uno al mondo vincendo anche lo Slam australiano, allo svedese Robin Soderling numero 5 del pianeta che con lui “in panchina” vincerà tre titoli e lo scelse nel ruolo di coach perché, dice Claudio: “Quando smettevo di lavorare sul tennis andavo a vedere tornei di tennis per essere aggiornato... Me lo spiegò dopo tre mesi perché uno svedese aveva scelto un romano, fino a lì non avevo avuto il coraggio di chiederglielo”. Facile: il glaciale Soderling lo scelse perché quel 'romano' era molto più svedese di lui nelle faccende di lavoro. Dicevamo dell'uomo che visse tre volte: giocatore, tecnico e poi eletto tre volte, nel 2010, nel 2012 e nel 2014, rappresentante dei coach ATP in seno al Players Council dell’ATO. E mica si ferma Claudio: prosegue negli States la sua attività di 'allevatore' di talenti, sempre un passo avanti nel metodo e nelle soluzioni. Quel titolo alla Sergio Leone, poi, ci sta tutto. Perché quel 'C'era una volta' racconta un'epopea, non una carriera. Del mito di Leone, oltre alla romanità, Claudio Pistolesi ha preso senza dubbio il talento dell'inquadratura stretta sul soggetto, dell'andare dritto al senso delle cose, usando inquadrature gustose che vanno dal ricamo tecnico, al profondo senso della battuta. E il libro, questo libro edito da Gremese, non è ne' un volume né un 'viaggio' (come si dice spesso di libri che poi magari non ii fanno neanche alzare dalla poltrona), ma un posto in prima fila per un'avventura di sport che si concede anche al sorriso e perché no, alla risata, tra tornei e scherzi, amicizia e grandissime star dello sport. Da Boris Becker contro il quale Claudio entrò in campo chiedendo la canzone di Cutugno 'L'Italiano', al più bel torneo della sua carriera, Montecarlo, dove il suo tennis spiccò il volo fino a mettere ko l'allora numero 2 del mondo Mats Wilander. Dal mito di Guillermo Vilas a una Milano piena di magia, dalle due standing ovation in un solo giorno a New York, alla Coppa Davis con capitan Panatta a Lady Diana....No, questo non è un libro, è la DeLorean di 'Ritorno al Futuro' che viaggia avanti e indietro nel tempo con una racchetta sul sedile posteriore. Vi dico che l'oretta abbondante della presentazione del libro è diventata in un sol boccone uno 'one man show' straordinario, pieno di aneddoti e di episodi divertenti fino alle lacrime, perché Claudio Pistolesi è questo: un uomo di talento tremendamente serio sul lavoro che non ha mai smesso di essere quel ragazzo che a Suzuki, suo allievo giapponese diceva: “Te chiami Suzuki, ma che dormi in garage?”, ma è anche il professionista che non ha mai mollato una palla e che ti dice, facendosi serio: “Il tennis non è uno sport, è una battaglia. E nel tennis non si vince o si perde. Si vive o si muore, ogni maledetto, benedetto match”.

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