Sinner non si ferma più. "Puntare al numero 1? È ovvio, ma Jannik cresce perché non ci pensa”

Il coach Simone Vagnozzi spiega i segreti del campione: "Ogni volta riparte per migliorare, quando abbiamo iniziato a lavorare insieme era già forte. Ha sistemato gli ultimi dettagli studiando gli avversari che lo battevano".

di PAOLO GRILLI
3 aprile 2024

Roma, 3 aprile 2024 – Simone Vagnozzi, sguardo fiero e tono gentile, ogni giorno deve guidare una fuoriserie. Di più, un bolide imprendibile. Si parla di tennis, in realtà, ma la metafora è calzante, perché dal febbraio 2022 è lui l’allenatore di Jannik Sinner. Affiancato, tre mesi più tardi, da Darren Cahill.

Vagnozzi, a Miami è arrivato l’ormai ennesimo trionfo di Jannik, con lo storico approdo alla seconda posizione Atp.

"Puntare al numero 1?. È ovvio, ma Jannik cresce perché non ci pensa"
"Puntare al numero 1?. È ovvio, ma Jannik cresce perché non ci pensa"

Lei stavolta non era presente al torneo, ma avrà festeggiato adeguatamente…

"Magari deludo le aspettative, ma devo dire che non abbiamo fatto più di tanto. Non siamo grandi ‘festeggiatori’. Jannik e chi di noi era con lui in America (Vagnozzi parla sempre al plurale, quando spiega il fenomeno Sinner, ndr) si saranno fatti una birra. Noi in Italia siamo andati a letto. Devo dire che siamo tutti molto pratici. Già pensiamo al passo successivo da fare, anche quando arriva una vittoria così importante. E, a ben vedere, non so quanto sia poi giusto non concedersi momenti di spensieratezza...".

Quali sono gli obiettivi ora? Il numero 1 non è distante. E inizia la stagione della terra.

"Quando arrivi al numero 2 Atp è ovvio che si pensi all’1… Ma ad essere sinceri non ci siamo mai posti obiettivi di ranking. La nostra impostazione è quella di affrontare il torneo successivo al meglio, senza guardare oltre. L’obiettivo è quello di battersi per andare più avanti possibile. Sulla terra rossa sarà lo stesso, l’impostazione non cambia".

Come si svolge il lavoro quotidiano con un campione?

"Quando si inizia a lavorare ci si affida ai feedback dei giocatori. Noi offriamo determinate cose, prove da compiere a livello tecnico e tattico. Deve essere l’allenatore a dare input, ma poi è il giocatore a dover dare la sua risposta. A Jannik illustrai la mia idea di gioco e di preparazione, poi il lavoro è andato avanti anche insieme a Cahill. La cosa positiva è che noi due coach valutiamo in maniera molto simile, a livello di progetto. E il lavoro si evolve sempre".

Che giocatore era Jannik all’inizio della vostra collaborazione?

"A febbraio 2022 era già fortissimo, nonostante avesse appena venti anni. Aveva lavorato molto bene prima. Mancavano solo determinate cose per battere i primi del mondo e arrivare in fondo ai tornei più importanti, con continuità. Era un grande colpitore, ma non aveva il senso tattico attuale: non conosceva così bene il gioco. Umberto Ferrara è stato poi eccezionale nel farlo progredire anche sul piano della preparazione fisica. Si può dire che a Jannik mancasse un po’ il servizio e anche il gioco a rete, le piccole variazioni. Finiva per giocare in maniera un po’ monotona e prevedibile".

A quale giocatore vi siete ispirati per migliorare?

"Certamente Federer è un suo idolo sotto molti punti di vista. Ma Djokovic è stato uno dei riferimenti costanti per arrivare così in alto. Sì, sono gli avversari che si studiano e si affrontano a migliorare un giocatore. Medvedev, Alcaraz e Djokovic hanno contribuito al salto di Jannik, lo hanno costretto a imparare tanto. A Pechino ha vinto contro Medvedev con il serve and volley. Ma poi ogni volta le carte in tavola cambiano, e occorre progredire. I grandissimi come Djokovic, Federer e Nadal sono rimasti così a lungo ai vertici proprio per questa capacità di porsi sempre obiettivi di crescita".

Com’è Jannik lontano dai riflettori?

"Molto competitivo. Sa anche essere scherzoso, ma se qualcosa non va lo fa capire bene. Anche in questo, però, è cresciuto. Ora sa prenderla più alla leggera, sdrammatizzando. Darren, dal punto di vista mentale, ci ha aiutato molto. Occorre dare il giusto peso alle situazioni".

Qual è il vero segreto di Sinner?

"Non c’è un’area più importante di altre per spiegare le sue vittorie. Ma forse il suo ‘fiuto della sconfitta’ lo aiuta tanto. Quando si mette male in un match, sa reagire, non perde mai la convinzione in se stesso e riesce a uscirne. Basta guardare alla partita vinta con Djokovic in Davis dopo avergli annullato tre match point di fila. Sa giocare bene nei momenti importanti".

In che cosa può migliorare?

"Nell’uso del servizio, nelle variazioni. Ci porteranno gli altri a migliorare, un processo che non deve fermarsi".

Quando si assunse l’onore e l’onere di allenare Sinner, prevedeva tutti questi successi?

"Due anni fa, a Roma, dissi che Jannik era appena dietro Alcaraz, e che poteva raggiungerlo. Cosa che si è poi verificata. Jannik era una ‘Ferrari’, lo sapevo, ero convinto che potesse arrivare al top. Certo, pensare che in pochi mesi avrebbe vinto la Davis, l’Australian Open e Miami, non era facile…"

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