Auguri a Dino Meneghin. “Vinco col sorriso”
Il cestista compie 75 anni. “Il segreto è non mollare mai, neanche in allenamento. Che gioie con Varese, Milano e Italia, in campo e fuori”

Dino Meneghin con papa Benedetto XVI nel 2009 in udienza in Vaticano
Milano, 18 gennaio 2025 – Oggi fanno 75 anni. L’occasione per ripercorrere con Dino Meneghin una carriera leggendaria che ne ha fatto il giocatore italiano più titolato e certamente più conosciuto del panorama mondiale. Ancora adesso, nelle sue parole, si percepisce l’amore per la pallacanestro.
Qual è il momento più significativo della sua carriera?
“Partiamo dall’inizio, la mia prima esperienza a Varese, ricordo ancora quando Nico Messina mi invitò a giocare, tornai a casa con la borsa dell’Ignis, la misi sul tavolo orgoglioso di farla vedere ai miei. Poi, la chiamata di Peterson all’Olimpia, ero sul punto di smettere, mi ha cambiato radicalmente la carriera. Infine, la proposta di Tanjevic di fare da chioccia ai giovani di Trieste, ne sono stato orgoglioso”.
Fuori dal campo, quale progetto le ha dato più gioia?
“Il 3 contro 3 nelle scuole medie e superiori, iniziato a fine anni ‘90 con Basket3. Partimmo con 500 studenti, l’ultimo anno ne coinvolgemmo 110.000. È stato emozionante vedere crescere il 3x3 negli anni fino a diventare disciplina olimpica”.
Qual è il consiglio che darebbe ad un giovane per diventare professionista?
“Seguire la passione. Se il basket è ciò che ami, devi dedicarti anima e corpo. La chiave è la mentalità, allenarsi duramente con costanza. Non basta divertirsi, bisogna fare sacrifici. Oggi, come ieri, la passione è la base”

Un avversario con cui le piaceva giocare?
“Cosic, Thachenko e Sabonis. Il primo fortissimo, sapeva fare tutto, fuori dal campo ho avuto la fortuna di frequentarlo ai tempi di Trieste quando spesso era ospite di Tanjevic. Thachenko enorme, 220 cm, avversario di battaglie con la Nazionale. E poi Sabonis, molto più giovane di me, ricordo la prima volta contro, aveva 18 anni, se ne parlava tanto, ma non l’avevo mai visto. Inizia la partita, ruba palla, con i suoi 220 cm vola in palleggio in contropiede a fare una schiacciata clamorosa. Ho pensato: Questo bimbo diventa forte per davvero”.
C’è un trofeo al quale si sente più legato?
“Il primo scudetto con Varese nel 1969, seguito l’anno dopo dalla Coppa Campioni. In Nazionale, ovviamente gli Europei vinti nel 1983 e l’argento alle Olimpiadi 1980”.

Se deve estrapolare un momento in azzurro?
“La mia prima Olimpiade, Monaco 1972. L’ingresso nello stadio per la cerimonia di apertura, il boato del pubblico, un ricordo indimenticabile. Bellissima la vita nel villaggio, ci si mescolava con atleti di tutto il mondo, andavi a pranzo e in un tavolo da 10 eri con ragazzi di 10 paesi diversi”.
Come ha visto evolvere il basket?
“Il gioco è più veloce e tecnico. Negli anni ‘60 più lento, oggi la velocità e la preparazione fisica sono essenziali. Il cambiamento dai 30“ ai 24“ è stato fondamentale. Se dovessi fare un paragone, direi che il basket assomiglia sempre di più all’hockey su ghiaccio, non ci si ferma mai”.
Come riusciva a motivare se stesso?
“La motivazione dipende dal carattere. In gioventù, ero circondato da esperti come Flaborea, Ossola e Vittori. Non mi piaceva mai perdere, nemmeno in allenamento. La mentalità di non accontentarsi mi ha permesso di crescere. Con McAdoo, ad esempio, le sfide in allenamento erano durissime, per lui, perdere nella partitella era quasi più fastidioso che in gare ufficiali”.
Cosa direbbe oggi al giovane Dino 13enne che iniziava a giocare?
“Che ha fatto la scelta giusta, ma dovrebbe cercare di allenarsi ancora di più, anche se una volta si lavorava così, non è colpa di nessuno. Se solo avessimo avuto le attrezzature moderne dei pesi forse avrei raggiunto risultati ancor maggiori, ma non mi posso lamentare”.
Come vede il basket oggi?
“Evolve bene, tecnica e velocità sono aumentate, i giocatori più preparati. Non mi piace l’abuso del tiro da 3, snatura il gioco di squadra. Mi piacerebbe vedere i pivot più coinvolti in attacco: Peterson ci insegnava che un pivot motivato dà il massimo e aiuta la squadra anche in difesa. Il basket deve rimanere un divertimento, dove ognuno è fondamentale. Meno musi lunghi, più sorrisi: chi gioca a questi livelli è una persona fortunata”.
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