Albertazzi La Fortitudo nel suo destino

Negli anni Settanta è il miglior juniores di Bologna con Bonamico. Comincia con Nikolic, ma si esalta con Di Vincenzo in panchina

di ALESSANDRO GALLO -
3 marzo 2024

Una leggenda chiamata Daniele Albertazzi. Perché leggenda? Perché la storia di ‘Tazzi’ è ammantata di fascino e mistero. E’ un qualcosa che si tramanda di padre in figlio. Perché se andate a spulciare notizie in rete e digitate il nome Daniele Albertazzi troverete poco o nulla. Saprete che ’Tazzi’ è nato a Bologna il 18 aprile 1957. Che ha giocato a Rimini (1979/80), poi si è trasferito a Ferrara (1982/1985). E’ divenuto un giocatore che spostava a Livorno (sponda PL, dal 1985 al 1987) ed è esploso in Fortitudo, dove è rimasto fino al 1992, per poi giocare anche a Ozzano, maglia Gira, sotto la guida di Massimo Bernardi.

In rete, appunto, pochissime indicazioni (di Roseto e Ozzano, per esempio, non c’è traccia): il numero di presenze, le annate, qualche foto a colori (ma più in bianco e nero) e poi? Nessuna dichiarazione roboante, pochissime interviste.

Eppure ‘Tazzi’ vive a Bologna, è uno dei punti fermi dell’associazione Willy The King Group, dedicata a William Boselli e lo si può vedere ogni tanto ai tavoli del Mulino Bruciato, con gli amici dell’associazione. Non solo Willy, ma anche Lorenzo Sani (una vita al Carlino, penna del basket e brillante scrittore), Nino Pellacani e Claudio Pilutti, il tesoriere del gruppo. E tra i fiori all’occhiello del gruppo l’organizazione di Happy Hand, la kermesse sportiva più inclusiva che ci sia.

A dispetto di questa ritrosia dalle immagini e dalle parole, se chiedete a qualsiasi tifoso della Fortitudo o della Pallacanestro Livorno, qual è stato il giocatore trascinante negli anni Ottanta, vi risponderà immancabilmente Daniele Albertazzi, proprio lui, il nostro ‘Tazzi’.

Daniele è grande e grosso: a 13 anni il papà lo iscrive a un corso alla Virtus. Lo scartano quasi subito, perché Daniele si porta dietro l’etichetta di giocatore lento e macchinoso. Un’etichetta che gli resta attaccata. Anche se, per fortuna – per lui e per la pallacanestro –, ci sono allenatori che non si fermano alle apparenze, ma sanno guardare lontano.

Così, dopo una stagione al centro di addestramento di Pilotti e Giardini, sbarca in via San Felice, dove allena Alberto Bucci. Con il professor Aza Nikolic entra nel giro della prima squadra. Ma ’Tazzi’ è solo uno juniores, per di più in un periodo nel quale il basket è ancorato al quintetto iniziale. La panchina serve solo per far numero, la domenica, e durante la settimana allena i titolari.

In città, ci sono solo due juniores capaci di realizzare almeno trenta punti ogni qual volta scendono in campo. Uno è Marco Bonamico, non ancora ‘Marine’, l’altro, appunto, è Albertazzi.

Con Nikolic non scatta la scintilla – qualche errore, il professore, lo deve aver commesso, pur essendo uno scienziato dei canestri era umano anche lui –, Daniele lascia la Fortitudo. Va a Rimini, dove lo vuole a tutti i costi Bucci. Passano gli allenatori, arriva Taurisano, un’altra leggenda che ha vinto uno scudetto a Cantù. Ma anche lì, il feeling non decolla. ’Tazzi’ pensa che il basket, almeno a livello professionistico, non faccia per lui. Così riparte da San Lazzaro. Poi, dopo la promozione, Ferrara. Marco Calamai prima e Mauro Di Vincenzo poi (a Livorno prima, successivamente in Fortitudo) sono quelli che lo rigenerano. ’Tazzi’ è una macchina da canestro che, con il passare degli anni, si allontana dall’area. Prima pivot, poi, ala-pivot. Poi ala.

Non è velocissimo, ’Tazzi’, ma ha il cervello fino. Marca qualsiasi tipo di avversario. E continua a fare canestro. Di Vincenzo, appunto, quando torna in Fortitudo, lo richiede espressamente. E dopo aver vissuto, marginalmente, l’epopea di Nikolic, rientra in via San Felice. E lo fa dalla porta principale. Al punto tale che nel 1988 riceve il premio Reverberi (indicato dalla stampa specializzata dei canestri) come miglior giocatore italiano.

Parla poco, ‘Tazzi’, ma piazza blocchi granitici, si sbatte in difesa e in allenamento non molla mai. Anzi, se qualche compagno si tira indietro, ‘Tazzi’ comincia a borbottare. Anzi, brontola proprio, perché pretende il massimo da tutti. E lui, Daniele, è in prima linea.

"E’ stato il nostro leader silenzioso", commenta Giacomo Zatti ricordando quegli anni.

Anche se appare burbero, quasi un duro, in realtà è uno che sa stare allo scherzo e che, soprattutto, sa fare gruppo. Sa tenere insieme i compagni, sa guidare la barca quando la Fortitudo rischia di deragliare. La squadra, dopo l’entusiasmo per i derby del sorpasso (1988), retrocede in A2. E una volta in A2, rischia un paio di volte la calata in serie B. Dietro le imprese di Cremona e Reggio Emilia (con il salvatore Teoman Alibegovic), c’è il marchio di fabbrica di Daniele Albertazzi, detto ‘Tazzi’.

Capitano silenzioso e affidabile. Uno che ricordano ancora in tutte le piazze dove ha giocato. Anche se, appunto, la rete e wikipedia lo liquidano in poche righe. E la realtà è che servirebbe un intero libro per far capire l’impatto che capitan Daniele ha avuto nella nostra pallacanestro.

(41. continua)

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