Fortitudo, capitan Basile ricorda Douglas: "Adesso Bologna gli dedichi una strada"

Gianluca "Ruben era speciale. Era giovane e si divertiva. E, ogni tanto, nello spogliatoio, cominciava a urlare ’Black Power’" .

di ALESSANDRO GALLO -
28 aprile 2024
Gianluca "Ruben era speciale. Era giovane e si divertiva. E, ogni tanto, nello spogliatoio, cominciava a urlare ’Black Power’"

Gianluca "Ruben era speciale. Era giovane e si divertiva. E, ogni tanto, nello spogliatoio, cominciava a urlare ’Black Power’"

Bologna, 28 aprile 2024 – "Ruben è la storia. Credo che debba essere celebrato nel migliore dei modi. Nel dolore di ricevere una notizia del genere, penso che l’idea che Bologna gli possa dedicare una strada, potrebbe servire a tutti noi che lo piangiamo".

Il protagonista è Ruben Douglas, scomparso a 44 anni per un’infezione poi aggravatasi, le parole sono di Gianluca Basile che, della Fortitudo tricolore del 2005, era il capitano.

Pronto, Basile?

"Sì, so già l’argomento di questa chiamata. Me lo avevano detto qualche giorno prima. Credo che Ruben sia mancato il 12 aprile. La famiglia ha scelto la strada del silenzio, il fratello aveva piacere di essere lui a comunicare il tutto a Bologna. Abbiamo giustamente rispettato la scelta della famiglia Douglas".

Che ricordo ha di Ruben?

"Un ragazzo straordinario, baciato dal talento. Era l’unico ragazzo di colore nella squadra. Così ogni tanto, nel silenzio generale, cominciava a urlare ‘Black Power, black power’. E tutti ridevamo con lui".

Era rimasto in contatto con lui?

"Sì, ci sentivamo. Mandava anche lunghi vocali al Poz, spesso pieni di parolacce. Erano le prime cose che aveva imparato. O meglio, gli avevamo insegnato. Era legato alla città e a Bologna. Doveva tornare proprio in questi giorni".

Torniamo all’uomo Douglas.

"Super. Super come uomo e come giocatore. Era un ragazzo di 24 anni all’epoca innamorato della vita e dei suoi compagni".

Lo chiamavano il serpentaro.

"Già, per la sua passione o presunta tale per i serpenti".

Perché presunta?

"Io in casa sua non ci sono mai stato".

Paura dei serpenti?

"No, ma non so se quella fosse una leggenda o meno. Eravamo una bella squadra, ma al proprio interno, pur nella condivisione, c’erano interessi ed età diverse. Io ero già sposato, con figlie. Ruben no. Giovane, bello, nel fiore degli anni. Usciva con Mancinelli, Belinelli, Fultz che erano i più giovani. Mi dicevano gli piacesse divertirsi dopo le partite. Ma non sono stato testimone oculare. E poi, pur divertendosi, non ha mai fatto pazzie. Non sono mai dovuto intervenire come capitano. E in campo non si è mai tirato indietro. Nemmeno in allenamento. Ma un professionista serio e vero. Come tutta quella squadra che vinse lo scudetto".

Il tiro da tre.

"Una magia. Solo lui poteva farla".

Però l’assist…

"Che assist?".

Il pallone non glielo passò lei?

"Sì, ma non era un assist".

In che senso?

"Partii in palleggio dopo il tiro sbagliato da Calabria. Feci un paio di serpentine, avevo l’idea di tirare. Mi trovai chiuso e passai la palla. Quasi per caso. Douglas in quel momento era libero ed era l’unico al quale poterla dare. Se assist è, devo ammettere che fu del tutto a mia insaputa. L’eroe di quello scudetto resta lui. Il nostro Ruben".

E adesso?

"Dentro provo una grande tristezza per la scomparsa di un ragazzo di soli 44 anni. Un mio amico".

Lo ricorderete?

"Certo che sì. Noi ragazzi del 2005, quelli che vinsero lo scudetto o anche quelli che furono costretti a fermarsi prima come il Poz, lo onoreremo nel migliore dei modi. Ma credo che anche Bologna debba farlo. Uno scudetto storico per la Fortitudo. Ma anche per l’Italia dei canestri, il primo titolo deciso con l’instant replay. Una via di Bologna che porti il nome di Ruben Douglas credo che sia il minimo per onorare la sua memoria. Quella di un ragazzo tanto bravo quanto poco fortunato. Ma sempre amato da queste parti".

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