Calamai Uno sguardo rivolto verso il cielo

La storia di Marco: nato a Firenze, cresciuto in Fortitudo e poi diventato coach. E il progetto rivoluzionario con i disabili psichici

di ALESSANDRO GALLO
6 gennaio 2025
La storia di Marco: nato a Firenze, cresciuto in Fortitudo e poi diventato coach. E il progetto rivoluzionario con i disabili psichici

La storia di Marco: nato a Firenze, cresciuto in Fortitudo e poi diventato coach. E il progetto rivoluzionario con i disabili psichici

Il liceo Minghetti, la sciarpa rossa. E ancora i capelli lunghi, i baffoni corvini – modello Peppone, il sindaco di Giovannino Guareschi –, due liberi sbagliati, la politica e una visione, speciale, dei canestri.

Una vita, mille risvolti – sempre all’insegna dell’amore per la pallacanestro – e una sola identità. Alzi la mano chi, a questo punto, non ha ancora capito di chi stiamo parlando. Solo mani abbassate, vero?

Perché Marco Calamai, nella sua unicità, è facilmente riconoscibile. Ci sono alcuni tratti che ci consentono di individuarlo. Anche a occhi chiusi.

Il look, per esempio. I capelli lunghi, li ha sempre avuti. Un vezzo? Il modo di ricordare chi ha avuto sempre una forma di ribellione (pacifica) come punto di riferimento? Sia come sia, i capelli, ora leggermente accorciati, sono rimasti. Così come i baffoni. Un tempo neri corvini, oggi con qualche punta di grigio.

Ma prima di essere un Coach con la C maiuscola, Marco è un giocatore. Della Fortitudo.

Nasce a Firenze, Marco, gioca nel Ponterosso. Poi, con la famiglia, si trasferisce all’ombra delle Due Torri. Passano più di sessant’anni da quel momento. Molti trascorsi tra le Due Torri e Monzuno (dove fa l’assessore), ma l’accento fiorentino non lo perde. Mai.

Va al Minghetti, comincia a giocare nella Pallavicini, fino a quando lo chiama la Fortitudo. Gioca il derby – il massimo per Basket City – ha nelle mani due liberi per il sorpasso. E’ il 15 marzo 1970. Marco è poco più di un ragazzo, la pressione dei tifosi bianconeri si fa sentire, mancano sei secondi alla fine, la V nera è avanti 71-70. Due liberi sbagliati, la stracittadina si colora di bianconero.

Un altro, forse, avrebbe smesso – "c’era una ragazza che mi aspettava fuori – racconterà in un’intervista –, ma chi si ricordò di lei? Ero talmente fuori che andai a bermi un ginfizz, io che detestavo dolo l’odore dell’alcool –, Marco no. Tiene duro. Gioca fino a 25 anni poi prende altre strade.

Laurea in filosofia nel 1976 – 110, dopo una tesi in Storia del Risorgimento –, comincia a insegnare all’istituto Manzoni. L’unico professore di italiano che alleni in serie A. Ma per chi, passato in Fortitudo, aveva avuto la fortuna di confrontarsi con il Barone Schull e con Beppe Lamberti, i canestri sono irrinunciabili.

E infatti, dopo l’insegnamento, Marco sceglie la panchina, un’altra forma di insegnamento. Prima la Malaguti San Lazzaro (Albertazzi, Zunarelli, Sanguettoli, Bimbo Monari, Benelli), poi Ferrara (John Ebeling), Pavia (dove Attilio Caja cura il settore giovanile), Venezia, Nazionale militare (Pilutti, Dallamora, Rossini), Firenze (il vice è John Fultz).

Fiorisce la leggenda dell’allenatore con la sciarpa rossa. La sciarpa c’è ancora, solo che non la indossa più.

Arriva, o meglio, torna finalmente in Fortitudo, Marco. Gli affidano la squadra, estate 1992, che si è appena salvata a Reggio Emilia da una retrocessione in serie B dalla quale, difficilmente, si sarebbe ripresa.

Nel frattempo fa l’assessore – allo sport – a Monzuno, che resta il suo ’buen ritiro’. Allena la Fortitudo con buoni risultati. Ci sono Fumagalli e Pieri, Comegys e Alibegovic, Dallamora, Aldi e Albertazzi. Il progetto è biennale, qualcosa non va. C’è l’esonero e la squadra, con il suo vice, Dario Bellandi, a guidare le operazioni, viene promossa in A1.

Visto l’esonero, ci sarebbero le altre basi per un divorzio definitivo. Marco va avanti e approda a Livorno, dove allena Richardson e lancia titolare un giovanissimo Pozzecco.

La passione per la panchina c’è sempre. Marco, però, cambia allievi e attua una vera rivoluzione. Lavora in palestra, con ragazzi alle prese con problemi psichici e, talvolta fisici. Beh, dov’è la novità? Il basket inclusivo è una pratica consolidata.

Scatta il progetto ormai trentennale di basket inclusivo e come logica conseguenza, l’insegnamento del metodo di gioco inclusivo all’Università Iusm di Roma, poi a Bologna, Scienze della Formazione. Il mondo di Marco è più bello. Nascono gli Over Limits: i normodotati giocano insieme con tre ragazzi che hanno problemi psichici.

Chi non parla, chi magari sembra estraniarsi dal mondo che lo circonda. Marco non fa miracoli, ma con lui giocano tutti. E chi ha difficoltà a relazionarsi con il prossimo, trova grazie al pallone, un linguaggio comune.

La squadra più bella, che non gli impedisce di continuare a coltivare l’amore per la Fortitudo. La squadra sparisce di scena? Ecco i panni del ’salvatore’: Marco, che nel frattempo è entrato nella Sg (la casa madre), diventa il garante. Si riparte di slancio, si torna in serie A (oggi A2). Marco c’è sempre. Due liberi falliti? Sì, ma tutto quello che è venuto dopo è da 110. E rispetto alla laurea in filosofia, noi ci mettiamo pure la lode.

Anche perché, nel frattempo, Marco è diventato Cavaliere all’Ordine della Repubblica Italiana. Un riconoscimento ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano, il 3 dicembre 2012, nella giornata mondiale della disabilità "Per avere aperto nuove strade nell’esperienza di gioco con persone con disabilità psichica". Detto che collabora, come consulente, per il Bologna Basket 2016 e come formatore con Pmg spa Benefit da una trentina d’anni è apprezzato opinionista di trasmissioni radio e tivù. Ha scritto un libro per Franco Angeli, "Uno sguardo verso l’alto", uscito una prima volta nel 2008 e con alcune integrazioni nel 2023 sulla sua esperienza con questi ragazzi speciali.

(56. continua)

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