Galanda La Fortitudo cala il Gek tricolore

Protagonista anche della Coppa Italia del 1998: Bianchini lo utilizza come arma tattica per oscurare la visuale a Danilovic

di ALESSANDRO GALLO -
6 aprile 2024
Galanda La Fortitudo cala il Gek tricolore

Galanda La Fortitudo cala il Gek tricolore

Ci sono giocatori che fanno le fortune degli allenatori. Ma esiste, per fortuna, il rovescio della medaglia. Ci sono allenatori che fanno le fortune di determinati giocatori. A Basket City, alla fine del secondo millennio, abbiamo assistito, da questo punto di vista, a un esempio eclatante.

Stiamo parlando di Giacomo Galanda, classe 1975, detto l’Alpino oppure Gek (scritto proprio così). Uno che, in gioventù, spesso e volentieri, è stato scambiato per un certo Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti.

E’ bella la storia di Gek, nato a Udine il 30 gennaio 1975, che Dan Peterson, non uno qualunque, definì il Nowitzki italiano. Anzi, il fratello maggiore di Dirk, perché il tedesco è di tre anni più giovane. Piccolo inciso, per capire una volta di più, il peso di Basket City: lo sapevate che Wunderkind fu a un passo dal firmare con la Virtus? Lo aveva segnalato a Ettore Messina Sandro Gamba ed era tutto fatto, se non fosse che Dallas, che lo aveva prelevato da Milwaukee nell’ambito di uno scambio, lo chiama nel Texas nell’estate del 1998.

Ma torniamo al protagonista principale: Galanda. Perché Gek sembra uscito da un film di fumetti. Non fosse altro perché, non ancora maggiorenne, dopo aver iniziato a giocare a basket a Udine, sotto la guida di Alberto Martellossi, vola nell’Iowa dove, nell’ambito di uno scambio culturale, frequenta la Pocahontas High School.

E’ alto 210 centimetri, ha stazza e apertura alare per fare a spallate sotto canestro. Galanda non rifugge la lotta, ma si allontana via via da canestro, perché ha buone mani, ottime percentuali nel tiro dalla lunga distanza e può giocare, grazie ai piedi veloci, come ala piccola.

Approda a Verona, che ha appena perso Alessandro Frosini, acquistato dalla Fortitudo. La strada è segnata: nell’estate del 1997, dopo aver sfiorato l’anno prima la conquista della Coppa Italia con la Verona di Franco Marcelletti, vince l’argento agli Europei di Spagna con Ettore Messina sulla panchina azzurra come ct.

Gek è un’arma tattica totale e letale: in quell’estate, contrassegnata dall’inizio delle Guerre Stellari tra Virtus e Fortitudo, è conteso a suon di miliardi dai due club. Lanci e rilanci: la spunta la Fortitudo, che ha perso Frosini, che ha attraversato la strada. Dal biancoblù di via San Felice al bianconero dell’Arcoveggio. Per fortuna di Gek, in panchina, c’è Valerio Bianchini. Il Vate ha visioni che nessuno azzarda. E infatti, l’1 febbraio 1998, arriva il primo trofeo Fortitudo. E’ la Coppa Italia della finale con la Benetton. Ma al PalaMalaguti di Casalecchio, in semifinale, c’è il derby. E il Vate, che guarda sempre avanti, rispolvera l’arma tattica. Galanda come ala piccola – in quella Fortitudo oltre a Wilkins e Fucka, sotto canestro ci sono i muscoli di Chiacig e Gay – è lo stopper per oscurare Danilovic.

La mossa funziona: Sasha si inceppa, la Fortitudo porta a casa il primo trofeo. Per Gek, che davanti ha il più maturo Gregor Fucka, sembra l’inizio di un’avventura straordinaria. Ma non fa i conti con l’Emiro, al secolo Giorgio Seràgnoli. Succede che la Fortitudo, dopo aver vinto la Coppa Italia, venga eliminata, dalla Coppa dei Campioni, proprio dalla Virtus che da lì a un mese conquista la prima ‘Eurolega’. Seràgnoli non gradisce, caccia Bianchini e al capezzale dell’Aquila chiama Skansi. Le qualità di Pero non si discutono. Anche se a Pesaro sono ancora lì che si chiedono perché, nel 1982, il tecnico dalmata abbia lasciato in panchina, per un tempo, nella finale scudetto con Milano, Dragan Kicanovic, la stella della squadra. Se Kicanovic, uno dei migliori giocatori d’Europa, fa panchina, figuriamoci il giovane Gek. Galanda non vede più il campo, le quotazioni crollano. E la Fortitudo che fa? Per non svilire l’ingente investimento dell’anno prima, lo presta a Varese. Sulla panchina dei Roosters, c’è Charly Recalcati. E’ la Varese di Pozzecco e Meneghin, De Pol e Galanda, Santiago e Mrsic. E’ la Varese che approfitta di una delle rare finali scudetto degli anni Novanta nella quale non troviamo né Virtus (quattro scudetti in quel decennio) né la Fortitudo (tre finali consecutive dal 1996 al 1998). E’ la Varese che, nel 1999, con Pozzecco che ha il naso spaccato per un colpo subito da Marcelo Nicola, conquista lo scudetto della stella.

Charly lascia Varese per Bologna, sponda Fortitudo. E si porta dietro Galanda: arriva lo storico scudetto del 31 maggio 2000. Anche perché, con Galanda, Fucka e Vrankovic in campo insieme – fate conto una torre di 6 metri e mezzo, centimetro più, centimetro meno –, la Fortitudo ha una linea Maginot senza ingressi dal Belgio o dall’Olanda.

Recalcati va a Siena nel 2003: altro giro altro scudetto. E sono tre. Senza dimenticare, poi, che Charly è il ct della Nazionale. Vi siete forse dimenticati del bronzo agli Europei di Svezia del 2003 e lo storico argento ai Giochi di Atene 2004? Gek no. Anche perché, ad Atene, viene inserito anche nel quintetto ideale. E c’era chi, nel 1998, faticava a farlo accomodare in panchina.

Mica si è fermato, Gek: è stato tra i fondatori di Basket Magazine, perché i canestri li ha nel sangue. Ed è un consigliere federale, perché, intelligente e generoso com’è, si è messo al servizio degli altri.

(45. continua)

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