Myers e il giuramento: Fortitudo tricolore

Dopo tre finali scudetto perse in modo rocambolesco, Myers al PalaDozza si assume l’impegno di guidare la squadra alla vittoria nel 2000

di ALESSANDRO GALLO -
4 settembre 2023

di Alessandro Gallo

Rullo di tamburi, il ritmo che subisce una brusca accelerazione, le mani che si alzano al cielo e il coro "Carlton-Myers-numero-uno". Così, tutto attaccato. Tutto attaccato alla lettera Effe, verrebbe da dire, perché Carlton è il simbolo riconosciuto della Fortitudo nella seconda metà degli anni Novanta. Lui da una parte, Sasha Danilovic dall’altra: le Guerre Stellari (cestistiche) si consumano all’ombra delle Due Torri.

Ma forse non tutti sanno che Carlton Myers, nato a Londra (il 30 marzo 1971), avrebbe potuto diventare un giocatore della Virtus nell’estate del 1992. Anzi, è già tutto fatto per il passaggio dell’astro nascente del basket azzurro alla V nera.

C’è un però, tra il dire e il fare. Non è ancora il basket che comincia a ragionare in termini di minutaggi e di fatiche da condividere. E’ una pallacanestro fondata sul quintetto di partenza al quale, di volta in volta, si aggiungono, il sesto, il settimo e, al massimo, l’ottavo uomo. La Virtus ha appena acquistato Paolo Moretti, di un anno più vecchio rispetto a Carlton e pensa, per consentire a Myers di maturare, di prenderlo e prestarlo.

Non se ne fa niente, alla fine, perché Carlton si impunta e, da Rimini, passa a Pesaro. Il tempo per una finale scudetto, quella del 1994, contro la Virtus, contro Danilovic. Anche se la rivalità tra i due, per il momento, è solo agli inizi.

Curiosità: il papà di Carlton si chiama Carlton pure lui (senior) e trasmette al pargolo la passione per la musica che, una volta approdato a Rimini, lascerà spazio a quella per i canestri.

Due anni a Pesaro, il ritorno a Rimini in A2 e il record di punti. C’è un primato in Italia che resiste dal 1963. Sandro Riminucci, non c’è ancora il tiro da tre, insacca 77 punti. Carlton, in A2 e con il tiro da tre: in una gara contro Udine, fa meglio. Sono 36 i punti all’intervallo, 51 nella ripresa. Il totale fa 87 con 1422 da due, 919 da tre e 3235 ai liberi. E’ la miglior prestazione di tutti i tempi: la A2 è troppo stretta per il talento di Carlton.

Che nell’estate di quel 1995 lascia la Romagna, destinazione Bologna. C’è Giorgio Seràgnoli, il proprietario che non bada a spese. Con Carlton ci sono altri due talenti di Rimini, Max Ruggeri e Franco Ferroni. Ma gli occhi sono tutti per Carlton. Perché ha segnato 87 punti, perché deve prendere il posto di Vincenzino Esposito, la guardia che per un paio di stagioni ha fatto sognare la Fossa dei Leoni. Arriva Carlton e, come per magìa, ecco la prima finale scudetto. In panchina c’è Sergio Scariolo, in campo Sale Djordjevic: vince l’Olimpia di Boscia Tanjevic e Gregor Fucka. Fallito l’assalto a tricolore, la Fortitudo ci riprova un anno dopo, 1997, arriva un’altra sconfitta, con la Benetton Treviso.

Ritocca anche il primato dei punti in un singolo derby: il record di Jim McMillian, primi anni Ottanta con 40, viene portato a 44. Nella storia della stracittadina Myers è il bomber più prolifico. Carlton è sempre il migliore in campo, è l’icona della Fortitudo, ma il peggio, per lui, sportivamente parlando, deve ancora venire. Già, perché se nel 1998 arriva, puntuale, il primo trofeo, la Coppa Italia (Valerio Bianchini come coach), ci sono altri due derby che lasciano il segno.

Quello di Eurolega, nei quarti, con tanto di rissa in gara-uno, che lancia la Virtus verso la conquista della prima Coppa dei Campioni. C’è la prima finale scudetto tutta bolognese: a meno di 20 secondi dalla fine, l’Aquila ha quattro punti di vantaggio, Carlton è uscito per cinque falli, il risultato sembra in cassaforte. C’è un’immagine, però, che fa la storia della stracittadina: Danilovic che si alza al tiro e Carlton che, in piedi, dalla sua panchina, sembra aver capito tutto. Supplementare compreso.

Scudetto alla Virtus: abbastanza per annichilire chiunque. Non Carlton che, nel 1999, con un titolo europeo in tasca (e da protagonista), giura di vincere il titolo davanti alla Fossa dei Leoni in una suggestiva serata precampionato. Sì, qualche mese dopo arriva il primo scudetto, Carlton impazzisce di gioia. Sembra l’inizio di una nuova storia con l’Aquila. In realtà l’uomo che ammicca come Celentano – ma non chiamatelo Molleggiato – resta in Fortitudo solo un’altra stagione. Perde di nuovo il derby in finale nel 2001: il PalaMalaguti, Virtus padrona di casa, è tutto in piedi per tributare gli onori al fiero rivale.

Nel frattempo, sempre nel 2000, oltre allo scudetto, è il portabandiera dell’Italia ai Giochi Olimpici di Sydney. Carlton alla vigilia dei trent’anni, è all’apice della notorietà. Lascia Bologna, che comincia a risparmiare, per provare a fare grande Roma che, ironia della sorte, si chiama Virtus. Poi Siena, una veloce parentesi in Spagna (Valladolid), ancora Pesaro. Ancora Rimini, la sua Rimini, e San Patrignano, per fare da chioccia al figlio Joel. La carriera di Carlton è al tramonto. La rivalità con Sasha Danilovic si trasforma in una solida amicizia. Carlton chiama Sasha per la sua gara d’addio, Danilovic lo vuole al suo fianco, quando la Virtus ritira per sempre la canotta numero 5. Insieme danno vita a spassose storie sui social: da un brindisi a colpi di birra alla visita di Carlton a Belgrado, dove si muove all’interno di un appartamento – novello ispettore Clouseau – per ritrovarsi nella magione dell’amico Sasha.

Carlton-Myers-numero-uno: il momento più alto mai raggiunto dall’Aquila e un affetto che, a distanza di anni, lascia spazio solo ai rimpianti e alla nostalgia.

(32. continua)

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