Pellacani L’artista di Fortitudo e Playground

Ha vinto uno scudetto a Treviso con Kukoc e Del Negro. Ma, orgogliosamente, ricorda di aver conquistato per tre volte i ’Gardens’

di ALESSANDRO GALLO -
24 marzo 2024
Pellacani L’artista di Fortitudo e  Playground

Pellacani L’artista di Fortitudo e Playground

Ha vinto uno scudetto avendo come compagni di squadra Tony Kukoc – uno che sarebbe poi andato a Chicago, fianco a fianco con Michael Jordan – e Vinnie Del Negro. Eppure se gli chiedete cosa abbia vinto in carriera sorride, allarga le braccia e fa il segno tre con entrambe le dita. Non era uno che tirasse da tre, semplicemente, Pellacani Nino, cestista e artista, ricorda con orgoglio di aver conquistato per ben tre volte il Playground dei Giardini Margherita. Basterebbe questo per capire lo spirito e la goliardia infinita che animano Nino.

Nasce a Modena il 21 aprile 1962, muove i primi passi nella Pallacanestro Reggiana nel 1982/83. La società si è già accordata per cederlo a Perugia, lui, però, si impunta e passa alla Fortitudo dove resta fino al 1987. Anche perché la Fortitudo gli offre la possibilità di proseguire sia la professione di atleta, sia gli studi all’Accademia di Belle Arti. Poi una stagione a Livorno, sponda Pl, un altro anno in Fortitudo e Torino – dove lavora con il tecnico più amato, il professor Dido Guerrieri – fino al 1991. E ancora tre stagioni a Treviso, Cervia, Modena e la chiusura a Correggio.

Bologna e la Fortitudo gli restano nel cuore. Così come alcuni compagni di squadra, come Giacomo Zatti e Massimo Iacopini, che sarà il suo capitano nelle stagioni trevigiane. Playground, si diceva. Perché la leggenda narra che, in sede contrattuale, Nino, quando tratta con i dirigenti, faccia valere sempre la ‘Summer Escape’. Di che cosa si tratta? Della possibilità di disporre, nei mesi estivi, del suo tempo come meglio crede.

E tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, l’obbligo, o meglio, il divertimento, per Nino, è partecipare al Playground dei Giardini Margherita, con la maglia dell’Accademia di Belle Arti. E’ una squadra forte, quella dell’Accademia, perché con Nino ci sono il Papero Montecchi, Vidili e il ‘marchese’ Della Valle. E in panchina? Concetto Pozzati, artista e docente dell’Accademia. Nino si rivolge a Concetto con il massimo rispetto dandogli del lei, anche se magari, sul cemento dei Gardens, alla fine fa di testa sua. Si alza e schiaccia, perché negli anni Ottanta, la Fossa dei Leoni ha persino ideato un coro tutto per lui: "Nino-magico guerriero-salta su nel cielo-schiaccia per gli ultrà".

E Nino, magro magro, ma alto alto, salta tanto e schiaccia. Bologna gli entra nel cuore anche perché a Modena, uno così alto, viene guardato quasi con sospetto. Nella città dei canestri, invece, veder transitare uno sopra i due metri, dalle parti di Piazza Azzarita, è la norma. Arriva a Bologna e si toglie subito uno sfizio. Va in pellegrinaggio in via Paolo Fabbri 43, dove abita Francesco Guccini. Il cantautore è uno dei miti di Nino: arriva fino al portone della casa del ‘Maestrone’, ma gli manca il coraggio per suonare il campanello. Anche perché, forse, qualche dubbio gli è venuto dopo essersi recato per la prima volta al PalaDozza. A Reggio Emilia, Nino ha come compagno Roosevelt Bouie, che è abituato a raggiungere il PalaBigi in bicicletta. E sistemare il suo mezzo sulla prima fila del parterre. Nino, che ha 21 anni, pensa che il modello sia replicabile a Bologna. Pellacani varca i cancelli del palasport in bicicletta, ma non ha fatto i conti con Amato Andalò, il leggendario custode del palasport delle Due Torri. "Giovane…". Amato lo fulmina con lo sguardo. Vale più di un cazziatone. E Nino capisce subito che, in materia di palasport e di cura del parquet, Bologna è più esigente e severa. Respinto con perdite, da Andalò, Pellacani non rischia il secondo rimpallo in pochi giorni con Guccini.

In Fortitudo, complessivamente, 167 partite e 1.164 punti. E insieme con i punti e i rimbalzi ci sono l’estro per trasformare la rivalità con la Virtus in un atto più goliardico. Nino, appunto, è un artista: la fantasia e l’inventiva non gli fanno difetto. E nascono così le magliette che vanno a ruba tra i tifosi della Effe: se avesse depositato il marchio potrebbe essere uno degli uomini più ricchi del mondo. Le magliette? Spiccano per gli sfottò ai colori bianconeri: dalla t-shirt del Grande Freddo, per ricordare i 32 punti di passivo incassati dalla Virtus, alla celeberrima ‘Odio il brodo’, nel periodo in cui lo sponsor dei cugini è quello del dado Knorr. O ancora quella che viene definita la maglietta dell’alfabeto: la lettera F viene corredata da un’aquila. Dallo stesso alfabeto, misteriosamente, viene omessa la lettera V, per evitare il riferimento alla V nera.

Enzino Lefebre lo richiama in Fortitudo alla fine degli anni Novanta con il ruolo di art director e Nino, come quando schiacciava, lascia il segno nelle campagne più accattivanti dell’Aquila. Intelligente, divertente, pungente: la peculiarità di Nino è quella di non essere mai banale. Lo si vede ancora al PalaDozza, soprattutto quando riesce a riabbracciare l’amico Zatti, con il quale, oltre alla Fortitudo, condivide la passione per il Playground. "Io il re dei Giardini – ripete spesso –? No, il numero uno resta Jack Zatti. Ci tiene tantissimo".

Non finisce la frase, che comincia a ridere. Forse ripensando ai tempi nei quali, sul cemento dei Gardens, disquisiva di canestri e di schemi con il professor Pozzati. Un altro dei suoi punti di riferimento, come Dido Guerrieri, Germano Gambini (che lo portò in Fortitudo) ed Enzo Lefebre.

Artista, si diceva. C’è il suo zampino nelle iniziative promosse dal Willy The King Group – su tutto Happy Hand – e chi credete che abbia realizzato gli ultimi trofei del torneo dei Giardini Margherita? Ma è ovvio, lui, Black Nino, un po’ cestista, un po’ artista. Fondamentalmente geniale.

(44. continua)

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