Jura Lo sceriffo... dall’arresto e tiro letale

Il soprannome è legato alla professione del padre. Gioca nella Pallacanestro Milano e segna 52 punti contro la Virtus di Tom McMillen

di ALESSANDRO GALLO
31 marzo 2025
Il soprannome è legato alla professione del padre. Gioca nella Pallacanestro Milano e segna 52 punti contro la Virtus di Tom McMillen

Il soprannome è legato alla professione del padre. Gioca nella Pallacanestro Milano e segna 52 punti contro la Virtus di Tom McMillen

"Lotta-Jura-senza-paura", cantano al PalaLido di Milano. "Chuck-Jura-non-ci-fai-paura", rispondono, sempre a ritmo di tamburo nei palazzetti del resto d’Italia.

Lo chiamano lo sceriffo, perché il papà a Schuyler, paesino di 3mila anime nello stato del Nebraska, ricopre il ruolo di tutore dell’ordine. Lui, Chuck (nato a Schuyler, il 28 marzo 1950), è così forte che segna valanghe di punti, 52 in un incontro con la Sinudyne Bologna. E nella stessa annata, 1974/75, avversario della Scavolini Pesaro, mette a segno un canestro tirando da 26 metri.

E’ uno dei pochi giocatori, talmente forti che, ovunque vada, trova un coro "contrario". Charles Jura, detto Chuck, è un mancino terribile, capace di fare canestro da qualsiasi posizione. Ma anche di mettere insieme una serie incredibile di vorrei, ma non posso. Di grandi possibilità di fare il salto di qualità, senza mai riuscirci. Non gioca mai per un grandissimo club, ma ne trascina, diversi, a suon di canestri – il solo linguaggio che riconosce – in serie A1.

Eppure c’è chi mette in dubbio la sua grandezza. Selezionato per i Giochi di Monaco dice no, perché preferisce sposarsi e trasferirsi in Europa. "Sono felice di essere in Italia – spiega – e di aver qui la mia prima casa da sposato. Per poter realizzare questo sogno ho rinunciato a fare parte della squadra olimpica". Ci avrebbe riprovato quattro anni più tardi, preparandosi per Montreal 1976. Ma anche in Canada di Chuck non c’è ombra.

"Due anni fa sono stato selezionato fra i 55 giocatori degli Stati Uniti dai quali sarebbe dovuto uscire la rosa di 12 destinata all’Olimpiade di Montreal. Mi hanno chiamato perché ho pratica del basket europeo. Mi hanno scartato perché la squadra era stata già fatta a misura dell’allenatore".

In un’intervista del 1975 si lascia scappare che gli piacerebbe giocare a Bologna, sponda Virtus, perché l’amico John Fultz gli ha parlato delle bellezze della città.

Ma l’Avvocato Porelli non ci prova mai. Potrebbe finire all’Olimpia, sempre a Milano, perché Cesare Rubini ne apprezza la leggerezza. L’Olimpia va in A2, ma Chuck non si sposta da All’Onestà. Un pensierino lo fa pure Varese, che vorrebbe affiancarlo a Morse, come americano di coppa. Ma risulta più funzionale Yelverton per i giochi di uno stratega qual è Sandro Gamba. Si parla del Real Madrid. Eppure Chuck non va in Spagna.

Nell’estate 1978 fa le valigie, un po’ a sorpresa, lascia la Xerox, destinazione Cleveland. Già, lo vogliono i Cavaliers che sono i lontani parenti di quelli che diventeranno con LeBron James.

Negli States, Jura dovrebbe superare esami su esami, prove su prove. Attendendo, poi, una decisione dei Cavs.

E succede che Chuck non si adatti al sistema americano e decida di tornare a Milano. E fare quello che ha sempre fatto: canestro.

Ma chi porta Chuck in Italia? Si parla del solito Richard Percudani, lo stesso che segnala alla Fortitudo Gary Schull, ma lo scova, stando alle cronache del tempo, Riccardo Sales, il Barone della pallacanestro italiana. Non lo trova su un campetto di periferia, ma in aperta campagna. Già. perché Chuck è alla guida di un trattore. Che gli piacciano le atmosfere bucoliche è accertato dalla sistemazione. Chuck, ma si tiene lontano dalla metropoli, dove gioca e si allena.

Per vivere sceglie una strada alternativa. Nessuna villetta, nessun attico: Chuck, che arriva in Italia giovanissimo, accompagnato dalla moglie Janet e Ino, un pastore belga, sceglie una cascina, ad Abbiate Guazzone (Varese). La cascina, così come la Fiat 128 che gli mette a disposizione il club, rappresenta una parte del contratto. Nell’accordo, per rimanere a Milano, c’è un’altra auto (una Peugeot), la cascina e 60mila dollari l’anno. Nel 1979 arriva a guadagnarne 80mila e, per questo risulta lo straniero più pagato.

Sa curare con attenzione i suoi interessi: tutto quello che guadagna finisce nelle mani del suocero. Perché il papà di Janet è un banchiere di professione e lo sceriffo del Nebraska si fida solo di lui.

Chi lo ama alla follia non può che mettere sul campo i numeri. E le cifre dicono che siamo di fronte a un americano con i fiocchi. Chiude l’esperienza alla Nebraska University con 21,2 punti e 11,7 rimbalzi a partita. In Italia, dove c’è Bob Morse, è il primo a scalfirne l’aurea di bombardiere principe. Nel 1976 con 33,18 punti a gara è il cannoniere numero uno. Si ripete l’anno dopo migliorando la media, 32,87. Nel 1978 cala, ma con 29,6 è ancora il re dei bomber.

Dopo sette stagioni a Milano, sponda All’Onestà, la retrocessione in A2. Da Milano alla Svizzera la strada non è lontana. Come grandi campioni in precedenza Chuck prende casa alla Federale Lugano.

Ma i tifosi di Milano sono così affezionati al loro sceriffo che, quando possono, valicano la frontiera per seguire le gesta di Chuck. Poi Mestre, Bergamo, Roma: i canestri fanno parte della sua vita, tanto che, nel 2008, lo vediamo con la maglia degli Stati Uniti, vincere il mondiale master over 50.

Vive nel Nebraska (con la moglie Janet ha cresciuto i tre figli, Graham, Neely e Dusty). Non fa lo sceriffo, ma ha scelto di nuovo la campagna. Ha messo a frutto i soldi guadagnati in Italia, con investimenti ad hoc. Un albergo, alcuni ristoranti.

(61. continua)

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