Moraschini "Jannik non merita la squalifica"

Il cestista vittima di un caso analogo nel 2021: "Io condannato ingiustamente. Oggi vivo con la serenità di chi sa di essere onesto e pulito"

di MASSIMO SELLERI
23 agosto 2024
Riccardo Moraschini nell’ottobre 2021 è stato sospeso e squalificato per un anno per una positività al Clostebol come Sinner

Riccardo Moraschini nell’ottobre 2021 è stato sospeso e squalificato per un anno per una positività al Clostebol come Sinner

Due casi identici ed un diverso trattamento. Per una contaminazione involontaria ed esterna nell’ottobre del 2021 il cestista Riccardo Moraschini viene subito sospeso e poi squalificato per un anno, mentre nel marzo di quest’anno la stessa cosa è capitata a Jannik Sinner, ma il tennista al momento sta continuando la sua attività sportiva.

"In entrambi i casi si tratta del Clostebol – spiega la guardia bolognese, 33 anni, che ora veste la maglia di Cantù – una sostanza dopante che non migliora le prestazioni sportive ma semplicemente velocizza la cicatrizzazione. E’ incredibile come anche la dinamica sia la stessa. Una persona terza si ferisce, va in farmacia a comperare una pomata per guarire rapidamente e poi entra in contatto fisico con l’atleta, il quale si ritrova positivo a sua insaputa. Una positività miscoscopica perché stiamo parlando di nanogrammi, ma comunque scattano le procedure previste. Ed è qui che la storia diventa differente perché io fui subito sospeso e poi condannato ad un anno, mentre Sinner continua a giocare".

Moraschini, come si spiega questo diverso percorso?

"Penso sia opportuno chiarire subito che conosco nei dettagli quello che è successo a me, mentre quello che so su Sinner l’ho appreso dai giornali, quindi non posso avere una idea precisa. Nel mio caso la federbasket italiana non ha potuto congelare il provvedimento dell’organizzazione nazionale antidopig relativo alla mia sospensione almeno fino alla sentenza definitiva. Entrambe le vicende nascono da una contaminazione involontaria, ma poi le tappe di tutto l’iter sono state differenti. Detto questo sono molto contento per Sinner perchè la sua squalifica sarebbe stata ingiusta come del resto lo è stata la mia".

Le fa male rivivere tutta questa storia?

"Assolutamente no. Io vivo la pace di chi sa di essere innocente ed è stato vittima di una sentenza ingiusta che ha causato molti danni alla mia carriera, alla mia persona, all’Olimpia Milano che era la mia società di allora e che anche dal punto di vista economico ha avuto risvolti penalizzanti. Nessuno mi ha mai considerato un dopato perché tutti sapevano e sanno che sono una persona onesta e pulita".

La sua storia, come la vicenda di Sinner, ha una morale: anche chi sta vicino ad un atleta professionista deve assumere una condotta simile. Non è così?

"Questo è un problema. Quando uno è un atleta professionista sa cosa deve mangiare, quali medicine può assumere e in generale quale stile di vita deve avere. La mia ragazza non sapeva neppure cosa fosse il doping, si era tagliata e aveva bisogno di una pomata che la facesse guarire. In generale veniamo a contatto con talmente tante persone che immaginare di poter sapere cosa usano o assumono anche terzi è praticamente impossibile. Credo che un atleta non debba essere considerato positivo e di conseguenza fermato se si accerta che la quantità rilevata è legata a contaminazione".

Come vive la squalifica un innocente condannato?

"E’ stato un anno complicatissimo tra avvocati, carte e la speranza che venisse riconosciuta la mia estraneità ai fatti. Cosa è che successa, perché la contaminazione involontaria è stata accertata, ma tutti i miei sforzi non sono stati sufficienti ad evitare la squalifica. Ho fatto di tutto, ma l’impressione è che una decisione era stata presa e non si potesse cambiare. Alla fine c’è stata solo delusione e rassegnazione".

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