Tucker: l’infanzia difficile e il basket. Il duro dal cuore gentile per la Virtus

Gli inizi nel football, le liti legali tra i genitori, la perdita di un amico: così Rayjon ha imparato a volare

di MASSIMO SELLERI
31 luglio 2024
L’americano Rayjon Tucker, classe 1997, ha una storia molto particolare alle spalle

L’americano Rayjon Tucker, classe 1997, ha una storia molto particolare alle spalle

Il sorriso, l’esplosività e i modi gentili di Rayjon Tucker, la nuova guardia della Virtus, nascondono una vita difficile affrontata sempre con la forza di chi non si arrende mai avendo un rapporto speciale con Dio. Nato nel 1997, per seguire le orme paterne il primo sport praticato è il football, ma a 9 anni il papà abbandona la famiglia e per mantenere i suoi due figli la madre è costretta ad insegnare tutto il giorno danza a Charlotte nel North Carolina. Tocca a lui, quindi, andare a prendere a scuola il fratellino e a badarlo nel pomeriggio saltando la maggior parte degli allenamenti. A 14 anni arriva uno dei momenti più difficili della sua vita con i genitori che avviano una battaglia legale per la loro custodia. Tra tribunali e servizi sociali per un anno intero non gioca a football e tutto questo sballottamento gli fa perdere la voglia di cimentarsi in uno sport. Poi è l’incontro con l’ex cestista Nba Jeff McInnis a cambiargli la vita.

"Non avrei mai neanche lontanamente pensato che il basket potesse essere il mio futuro – racconta Tucker sui social -, ma Dio parla molte lingue e io sono sempre stato un ottimo ascoltatore. All’inizio, il mio gioco si era modellato sul football ed era fatto di tanta energia, di forza fisica e di istinto. Lavorai ogni singolo giorno, con dedizione e andai oltre i miei limiti, in ogni singolo allenamento. Come se volessi crearmi uno spazio nuovo, diverso, che fosse tutto mio. Soltanto mio".

In realtà quello spazio è poi diventato un piccolo tassello nella storia della Nba avendo vestito la maglia di Utah, Philadelphia, Minnesota, Dever e Milwaukee e anche in questo capitolo della sua storia la scelta del numero 59 è legata ad un dolore. "A Philadelphia nel 2021 avevo il numero 9 – si legge in un altro post - e in estate un mio carissimo amico, Terrence Clarke, un fratello per me, era morto in un incidente stradale. Lui indossava la 5, non sapevo se scegliere la 95 o la 59 e ne stavo parlando con mia mamma che mi ha ricordato come mio nonno, a cui ero molto legato, è morto all’età di 59 anni e questo è stato un segno che mi ha portato a scegliere la 59 per onorarli entrambi, non ho mai cambiato il numero. Ce l’ho anche tatuato sulla mano, mi ricorda di vivere la vita e non dare nulla per scontato, di godermi ogni momento".

Uno con una vita così non può che prediligere il gioco duro, quello che è un po’ mancato alla V nera nella passata stagione. Un altro aspetto che lo distingue dalla maggior parte degli atleti statunitensi è il suo disinteresse per le statistiche. Anche l’anno scorso a Venezia, nonostante la squadra lagunare abbia vissuto dei momenti difficili, non è mai caduto nella tentazione di pensare solo a sé, ma ha sempre cercato di restare dentro il sistema. Il suo soprannome "the flight", che tradotto in italiano significa il volo, esprime in modo sintetico la sua capacità di restare parecchio in aria durante il salto e oltre a generare spettacolo la cosa diventa un vero problema per le difese avversarie. L’unico dubbio sono i suoi 191 centimetri che in Eurolega potrebbero essere un limite, anche se uno che si è forgiato sui campi di football dovrebbe essere più che resistente agli urti e ai contatti.

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