Gaetano Fontana: il simbolo del calcio che manca all'Ascoli di Pulcinelli

Gaetano Fontana, ex idolo dell'Ascoli, incarna il calcio autentico che manca nella gestione Pulcinelli, suscitando nostalgia tra i tifosi.

di DANIELE PERTICARI
8 aprile 2025
Gaetano Fontana

Gaetano Fontana

Fischia l’arbitro al Barbetti. C’è una persona in campo che ha scritto, cambiandola, la storia dell’Ascoli. No, nessuno di quelli con la maglia gialla. Nessuno fuori dal campo nei pressi della panchina picena. Nessuno in tribuna. È un signore che sta in piedi davanti alla panchina del Gubbio. Si chiama Gaetano Fontana. Ed è osservandolo che il cuore di una o più generazioni di tifosi ascolani si è aperto ad un unico pensiero, collegato all’attuale situazione della squadra. Alle polemiche e alla mancanza di entusiasmo che la gestione della famiglia Pulcinelli sta lasciando in eredità ad Ascoli e agli ascolani (di fede, non solo di provenienza). Gaetano Fontana è stato un idolo. Prima sul campo. Poi fuori. Ha legato il suo modo di giocare a calcio in serie C, poi in serie B, in modo paradisiaco, tecnicamente fuori dai canoni, mentalmente eccelso, ad una maglia che poi ha lasciato per le classiche dinamiche di mercato e di ambizioni – anche economiche – che sono state riconosciute, seppur ingoiando qualche rospo. Il tutto sempre facendo vedere, in campo, un qualcosa che – opinione di chi vi scrive – è il grande assente della pluriennale gestione Pulcinelli. Il legame tra il gioco del calcio, pardon del pallone, la capacità di saperlo incarnare con gesti e giocate fuori dal comune e la possibilità di entrare in un legame psico-sociale che è anch’esso una delle componenti che rendono questo il gioco più bello del mondo (per molti, non per tutti). In un periodo storico in cui il signor Massimo Pulcinelli tende ad ironizzare su chi e come prova ad analizzare la sua gestione dal punto di vista economico, ci piacerebbe mettere sul tavolo quello che a nostro avviso è mancato e cosa il suo Ascoli non ha restituito alla gente che tifa l’Ascoli, oltre al mondo del calcio in generale. Uomini legati a questa terra che abbiano il dono di giocare a calcio e legarsi ad essa per sempre. Fontana fu ’importato’, ma ci sentiamo di scomodare i libri di storia fin dall’era Rozzi per ricordare ad esempio Iachini, Scarafoni, Agostini (solo per citarne tre e scusandoci di dimenticarne altri), o in quella Benigni con Giorgi, quella di Bellini con Orsolini (che oggi è il centrocampista offensivo più forte dell’intera Serie A). La pagina resta vuota per gli ultimi anni legati all’ultima gestione.

Il calcio è giocato dagli uomini per far emozionare gli uomini. Rende idoli persone o giocatori normali o discreti, basti pensare a Livon e Monticciolo, e questo, soprattutto questo, sembra essere il grande assente di scelte romane che paiono avere avuto molto di economico-finanziario e poco di emozionale-sportivo. Dove è più importante una storia su Instagram, talvolta poco ortodossa, invece di evitare, attraverso le scelte gestionali e tecniche, che un terzino faccia un passaggio orizzontale quando la squadra è in uscita o un portiere buttarsi la palla dentro la porta nel tentativo di far ripartire in maniera inutile un’azione. Dove è parso quasi naturale trattare direttori e allenatori come elementi della rosa del fantacalcio. È mancato il pallone, quello vero, nella gestione Pulcinelli. E vedere in piedi Gaetano Fontana in una delle ultime partite di questo campionato, ce lo ha solo ricordato come un coltello che si gira nella piaga.

Daniele Perticari

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