Bologna cresce in Champions: sfida Benfica e sogna in grande
Il Bologna dimostra crescita in Champions League contro il Benfica, ma riflette su un mercato più ambizioso.
In portoghese si scrive ‘Bolonha’ e suona un po’ come piranha. Certo, i rossoblù mordono poco, ma dalla notte del Da Luz ritornano con la consapevolezza di essere diventati una squadra che può far paura anche nel vasto mare della Champions.
In Europa hanno smesso di ironizzare sulla salsa bolognese, che peraltro non esiste, per accorgersi che, invece, di bolognese esiste una squadra di calcio forte, strutturata e che può diventare, se vuole, indigesta.
La bella e sostanziosa prova contro il Benfica segna un altro step di crescita importante per il Bologna che, pure - va detto - non s’era fatto inibire nemmeno al cospetto dei giganti del Liverpool, così come in casa dell’Aston Villa. A Lisbona, però, i rossoblù hanno fatto un upgrade, perché, al netto delle manone di San Lukasz Skorupski, hanno davvero dato la sensazione di poterla vincere la partita, mentre nelle due uscite inglesi la percezione netta era che il destino fosse più nei piedi degli altri. E se i piedi sono quelli di Salah, at salùt.
La notte portoghese, però, lascia anche un sapore dolceamaro, come un pastel de nata un po’ bruciacchiato, perché, dopo sei giri di giostra, è lievitata la convinzione che, con un mercato un po’ più audace e ambizioso, il Bologna sarebbe ampiamente stato in grado di centrare un posto nelle prime ventiquattro. Perché nelle notti di Champions pesano tantissimo i dettagli, serve gente navigata, attaccanti pronti a capitalizzare in oro il pallone buono: e francamente Dallinga non lo nacque.
Giustamente qualcuno obietterà che Vangelis Pavlidis - a lungo inseguito in estate prima di virare sull’olandese - è stato il peggior in campo tra i lusitani, ma confinare le valutazioni nel perimetro di novanta minuti rende la discussione sterile. Bisogna ragionare per valori: Pavlidis era più pronto per l’Europa? Sì, e lo dicono i numeri, così come si sarebbe potuto andare su profili più strutturati a livello internazionale in difesa: perché è un paradosso che quest’anno venga tirato il collo a Lucumi e Beukema, quando la scorsa stagione, senza la Champions, uno tra loro due e Calafiori restava a sedere. Sventolare l’egregia prova di Casale è un’altra forzatura ideologica di cui sopra.
Dopodiché a Casteldebole è stata fatta una scelta sacrosanta: non sacrificare la propria politica green sull’altare della Champions. Meglio un giovane in più oggi che un contratto pesante da onorare domani. Condivisibile o meno, è stata presa una strada precisa: adesso spetterà al campionato confermare se sia quella giusta.
Sicuramente giusta, è stata la scelta di affidarsi a Italiano che anche a Lisbona ha offerto una masterclass sulla gestione del gruppo: fuori sei-sette titolari, eppure ecco un Bologna convinto e convincente, come a Torino in casa di Thiago. Era un confronto nel confronto, per il tecnico rossoblù. E lo stesso sarà domenica quando al Dall’Ara si paleserà il Passato con la maiuscola: la Fiorentina, grande rivelazione con la Lazio di questa prima parte di stagione, e grande rivale nella corsa per l’Europa. Da Freuler a Castro, passando per Ndoye e Lucumi: dentro i migliori. Perché come imporrebbe la Champions, le grandi partite vanno giocate con i grandi giocatori.
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