Nelle mani di Federico Ravaglia: “Bologna, ci basta una scintilla. Possiamo puntare all’Europa, sogno di essere il n.1 rossoblù”

L’analisi del portiere: “Stiamo pagando le fatiche del doppio impegno, ma la strada è giusta. Anfield ha confermato il nostro valore. Siamo pronti per il Genoa e per questo ciclo di ferro”

di GIANMARCO MARCHINI
18 ottobre 2024

Bologna, 18 ottobre 2024 – Nella cameretta c’è un letto a castello. Fede dorme sotto, Ale di sopra. Come tutti i gemelli, la loro è una simbiosi totale, ma con un’aggravante: il pallone. Giocano sempre, ovunque. Un giorno Ale torna a casa con un poster direttamente dal futuro. C’è scolpita una scritta: ‘This-is-Anfield’. Fede la guarda con l’inconsapevolezza dei predestinati.

“Quando due settimane fa ho visto dal vivo la targhetta originale, ho videochiamato subito mio fratello e gli ho detto: domani, quando entrerò in campo, toccherò quella scritta anche per te”. A Liverpool Federico Ravaglia ha percorso il tunnel della storia con la maglia del Bologna, sotto gli occhi gonfi d’orgoglio del fratello Alessandro e di papà Leonardo in tribuna.

Federico Ravaglia compirà 25 anni il prossimo 11 novembre: è entrato nelle giovanili del Bologna quando ne aveva 12 (Schicchi)
Federico Ravaglia compirà 25 anni il prossimo 11 novembre: è entrato nelle giovanili del Bologna quando ne aveva 12 (Schicchi)

Da Anfield allo stadio ‘Foresti’ di Vado dove domenica scorsa Ale, difensore col vizio del gol, ha deciso con un rigore la sfida tra il suo Valsetta Lagaro e il Trebbo. Promozione girone C. “Ero in tribuna con papà ovviamente”, racconta Federico. This is Ravaglia: un ragazzo rimasto attaccato alle sue radici, un figlio di Bologna.

Federico, perché proprio il portiere?

“Ho sempre avuto le idee chiare: al primo allenamento col Progresso a 5 anni mi sono presentato con i guanti e i pantaloni lunghi imbottiti. Colpa di due persone: mio papà che giocava in porta e Gigi Buffon, il mio idolo da bambino, volevo diventare come lui. L’ho sfidato due volte, quand’ero in prestito a Frosinone (2021-22, ndr) e lui era tornato al Parma. Custodisco gelosamente le sue maglie: mi ricordano da dove sono partito e dove sono arrivato”.

Da Castel Maggiore alla Champions, su cui ci sono anche le sue mani: ci pensa ogni tanto al rigore parato a Politano?

“Sì, ci penso spesso, perché voglio che quelle emozioni restino vive, impresse. Torno con la mente a Napoli, a noi che in aereo cantiamo ‘L’anno che verrà’ di Lucio. Il ritorno in una Casteldebole piena di tifosi. Poi, vabbè: la festa in piazza Maggiore, con la mia famiglia e i miei amici in mezzo alla folla. E’ stato un sogno a occhi aperti, qualcosa di magico”.

La paura è che quella magia attorno al Bologna si sia un po’ spenta…

“Non mi sento di dire che si sia spenta. Ci sono stati dei cambiamenti grossi, sì, ma la base del gruppo è quella. Sono arrivati un altro allenatore e tanti giocatori nuovi, ma io non vedo nessuna ragione per cui non si possa ripetere l’ultima stagione. Certo, confermarsi è sempre più difficile. Ma a oggi ti dico: perché no?! E’ qualcosa nelle nostre corde. Ci servirebbe una scintilla, magari anche un po’ di fortuna”.

E forse un pizzico di cattiveria. Qualcuno ha ritenuto eccessiva la ’celebrazione’ della sconfitta di Liverpool. Come se, in fondo, l’importante fosse esserci.

“Per il modo in cui abbiamo giocato ad Anfield, l’intensità, il coraggio, a me è sembrata tutt’altro che una gita. Se vado ad analizzare quel 2-0, non sono soddisfatto perché torno a mani vuote, ma esco a testa alta e petto in fuori: per quello che abbiamo dimostrato contro una delle squadre più forti d’Europa, una delle tre più in forma. E’ stata una grande gara, la nostra: ci ha dato la consapevolezza che ora a questi livelli ce la possiamo giocare”.

Poi però arriva il pari con il Parma. Come si spiega?

“Si spiega che è il primo anno con questo doppio impegno. Non è una scusa, non cerchiamo alibi, ma probabilmente un po’ di stanchezza l’abbiamo accusata. Poi lo so che col Parma in casa ci si aspetta la vittoria, ma ogni gara fa storia a sé: abbiamo avuto tante occasioni per sbloccarla. Ci sono momenti in cui ti riesce tutto e mascheri anche quelle che sono le tue difficoltà. Altri, invece, in cui potevi vincere, stravincere, come con l’Udinese o con l’Empoli, ma lì la prestazione viene oscurata dal risultato e allora cominciano i dubbi. Il calcio è così. Poi certo, potevamo avere qualche punto in più? Sì. Per me, però, è solo un momento, facilmente risolvibile”.

Meno facile è stato per Italiano ereditare un gruppo così tanto plasmato da Motta.

“Dal primo giorno, il mister ci ha trasmesso la sua fame, ma soprattutto la grande emozione di guidare un club come il Bologna, di allenare noi: ci ha fatto sentire importanti. Ci ha ricordato che quello che avevamo fatto era storico, ma che ora si ripartiva da zero.

E dove potete arrivare in questo “anno zero”?

“Il gruppo c’è, abbiamo fame: possiamo andare a caccia dell’Europa anche quest’anno”.

A patto di non fare altri passi falsi a Genova.

“Dopo il Parma, il mister era arrabbiato, lo eravamo tutti. Ma poi ci siamo subito messi con grande voglia a preparare il Genoa, a lavorare sulle nostre difficoltà. Ci stiamo preparando nel modo giusto. Siamo pronti per affrontare questo ciclo di gare ravvicinate”.

Quanto ha pesato essere passati a un altro tipo di calcio?

“Come in tutti i cambiamenti, c’è una fase di assestamento da attraversare, ma le cose buone ci sono e si vedono: la direzione è giusta, dobbiamo seguirla. Sento dire che facciamo un calcio più rischioso: non è vero. Ciò che facciamo è tutto ben calcolato. Certo, esprimiamo un gioco più verticale, improntato alla finalizzazione, più aggressivo in fase di non possesso. Ma abbiamo difensori con le caratteristiche giuste per farlo”.

Il problema, semmai, è in attacco. Dallinga non può essere questo…

“Thijs è arrivato in un mondo nuovo, con tanta pressione addosso perché sostituiva Joshua che è stato uno dei migliori in Europa. Però, occhio: mi ricordo lo Zirkzee di Parma e quello della prima stagione da noi. In allenamento pensavo fosse un fenomeno: ma ci ha messo un anno per esplodere. Ecco, Thijs ha bisogno di tempo: ha le qualità per fare 15 gol”.

Orsolini invece?

“Sappiamo tutti che giocatore è Ricky, quanto sia importante per noi. Chiaro che, ogni anno, ci si aspetta di più da lui. Ma credo che, smaltita un po’ anche la delusione azzurra, rivedremo l’Orso che conosciamo”.

Intanto il 7 dicembre rivedrete Motta.

“Io e Lukasz (Skorupski, ndr) abbiamo un legame stretto con i suoi preparatori, Iago e Alfred (Lozano e Dossou-Yovo, ndr). Li sentiamo ogni tanto e di riflesso anche Thiago. A lui devo tanto: mi ha dato fiducia, in gare cruciali, come a San Siro con l’Inter in Coppa Italia dove ho parato il rigore a Lautaro. Quella vittoria ci diede tanta consapevolezza per fare poi l’impresa Champions”.

Spera di debuttare anche in Europa? Oppure Italiano è stato chiaro sulle gerarchie?

“Abbiamo un grande team: coi nostri preparatori, Vincenzo Sicignano e Antonio Rosati, il rapporto è bellissimo. C’è stata una riunione in cui il mister non ci ha messo paletti: ci ha detto che siamo tutti importantissimi. Quest’anno so di poter trovare spazio, viste le tante gare: voglio farmi trovare pronto. Poi chiaro: sogno l’esordio in Champions”.

Mihajlovic su di lei aveva visto giusto.

“A Sinisa sono legatissimo. Mi fece debuttare in A. E’ stato forse il primo a credere veramente in me. Lo ricordo come un guerriero, ma in fondo buono, molto umano. E ci tengo anche a citare Luca Bucci, il preparatore di allora: mi ha aiutato tanto”.

Il suo rapporto con il Dall’Ara?

“Stupendo, pieno di ricordi. A 12 anni sono entrato nel settore giovanile rossoblù e ci portavano spesso allo stadio. Amavo fare il raccattapalle e stare dietro la porta per studiare il portiere”.

Quant’è stata importante per lei la famiglia?

“I miei genitori mi hanno trasmesso tanti valori, l’impegno, il sacrificio. Quando sono entrato in prima squadra, non riuscivo più a frequentare la scuola, così l’ultimo anno di superiori sono passato al privato. Ma loro hanno preteso che studiassi per dare la maturità comunque con la scuola pubblica. La loro vita è stata d’esempio: mia mamma si è ritagliata un ruolo importante nel mondo della sicurezza sul lavoro. Papà ha iniziato a lavorare a 15 anni in Hera: è partito con i camion a pulire le strade di notte. Poi quando siamo nati noi, c’era necessità di guadagnare di più: lui a 35 anni si è diplomato e ha fatto la carriera in ufficio, per permettere a me e Ale un futuro più solido. Se sono arrivato dove sono lo devo anche a loro: non mi hanno mai caricato di pressioni. Hanno rispettato i miei sogni, facendomi però tenere i piedi sempre per terra. Papà con la sua passione mi ha ispirato: a 60 anni fa il campionato over 35 e il mercoledì gioca sempre a a 7 al Savena con gli amici”.

Ma il basket a casa Ravaglia?

“Ci piace molto, d’estate ci giocavamo spesso. Ale è fortitudino e un po’ mi ha influenzato (ride, ndr). Ma vado volentieri a vedere anche la Virtus”.

Cosa c’è chiuso nel cassetto di Federico?

“Il sogno da sempre è diventare il portiere titolare del Bologna. Poi ovviamente anche l’Italia è un sogno. Spero un domani di poterlo realizzare. Ma spero che sia il Bologna a permettermi di arrivare in nazionale: ecco, questo sarebbe il massimo della vita”.

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